FIMP NEWS

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Lunedì, 16 Settembre 2019 08:45

CONSENSUS E LINEE GUIDA. LE DIFFERENZE

A cura di Roberto Buzzetti, pediatra ed epidemiologo

Le decisioni quotidiane dei professionisti della salute devono essere fondate su solide prove, tenere conto dell’esperienza clinica e non dimenticare i valori e le preferenze dei pazienti.

Le Linee Guida, secondo una recente ridefinizione (2011)dell’Institute of Medicine(1) sono “documenti che contengono raccomandazioni finalizzate ad ottimizzare l'assistenza al paziente, fondate su una revisione sistematica delle prove di efficacia e su una valutazione di benefici e danni di opzioni assistenziali alternative”. Le caratteristiche principali di una linea guida sono: una solida base di evidenza, derivante da una ricerca sistematica delle fonti e dalla valutazione della qualità della letteratura a sostegno delle raccomandazioni; una corretta graduazione di tali raccomandazioni secondo metodi validati; la sua produzione da parte di un gruppo multi-   professionale e multi-disciplinare.

Il gruppo GRADE – Grading of Recommendations, Assessment, Development and Evaluation (2), nato nel 2000, ha sviluppato un approccio trasparente per valutare la qualità delle prove e la forza delle raccomandazioni. Il metodo GRADE, utilizzato da oltre 100 organizzazioni in una ventina di stati di tutto il mondo, è oggi considerato lo strumento di riferimento per la formulazione di raccomandazioni cliniche basate sulle evidenze.

Eccone, in estrema sintesi, i principali elementi.

  1. La forza delle raccomandazioni deve essere basata sui livelli di evidenza, ma non limitarsi a questi. Il livello inizialmente assegnato sulla base del disegno di studio può essere ritoccato verso l’alto (studi osservazionali con associazione forte, assenza di plausibile rischio di confondimento, dimostrazione di un gradiente dose-risposta) o verso il basso (in caso di studi randomizzati con limitazioni nella qualità dello studio, incoerenza importante tra studi differenti, dubbi sulla applicabilità, dati scarsi o imprecisi, rischio di “reporting bias”).
  2. L’attenzione concentrata sugli outcomes. Una volta identificati gli esiti importanti, per ognuno di questi si misura la qualità globale delle prove disponibili traendone un bilancio oggettivo tra benefici e danni.
  3. Le quattro componenti suggerite per una buona raccomandazione: il disegno dello studio, la qualità metodologica con cui lo studio è stato condotto, la coerenza tra studi differenti, la diretta applicabilità dei risultati a ciò che si vuole concretamente fare nel contesto clinico reale.

Le raccomandazioni finali sono su due soli livelli: DA FARE (“do it”) o DA NON FARE (“don’t do it”), combinati con due possibili forze della raccomandazione (“fortemente” o “leggermente”).

Nella consensus conference, citando le parole di Alfonso Mele (ISS) “le risposte al quesito di partenza, oggetto della conferenza stessa, sono elaborate da una giuria multidisciplinare ed eterogenea, rappresentativa di tutti i diversi possibili approcci (e interessi) al tema controverso. Per arrivare al suo verdetto, la giuria partecipa a un’assemblea pubblica, dove i vari esperti presentano la sintesi delle prove raccolte nella letteratura scientifica (e non solo) per poi lasciare ai partecipanti la possibilità di discuterne”.(3)

La conferenza di consenso è utile quando il tema è limitato e contenibile in pochi quesiti principali; è relativamente “orfano” di conoscenze, e dunque è controverso.

Gli attori principali di una consensus:

Il promotore (enti pubblici e istituzioni, società scientifiche, istituti di ricerca, associazioni di cittadini o pazienti). Importante la presenza di un soggetto istituzionale tra i promotori.

Il comitato tecnico-scientifico: 8-12 persone con esperienza e rappresentatività riguardo al tema oggetto della conferenza. Esso elabora le domande da sottoporre al panel giuria, individua gli esperti e gli eventuali gruppi di lavoro, fornisce a entrambi le indicazioni metodologiche

Il panel giuria: multi-disciplinare e multi-professionale, composto da 15-20 membri, esamina i documenti redatti dagli esperti e dai gruppi di lavoro e gli eventuali altri materiali informativi, discute e redige una bozza delle raccomandazioni.

Gli esperti e i componenti dei gruppi di lavoro: preparano una sintesi delle prove scientifiche disponibili nella letteratura scientifica, presentano i dati raccolti durante la conferenza e partecipano alla discussione.

Il comitato di scrittura prepara il documento definitivo di consenso.

Requisito metodologico mai abbastanza sottolineato, sia per le conferenze di consenso che per le linee guida, è l’attenta e rigorosa gestione dei conflitti di interesse: è in gioco la credibilità della medicina e di tutti gli operatori sanitari.

BIBLIOGRAFIA

‘(1) IOM (Institute of Medicine). Clinical Practice Guidelines We Can Trust. Washington, DC: The National Academies Press, 2011

‘(2) http://www.gradeworkinggroup.org/

‘(3) http://www.psy.it/wp-content/uploads/2018/02/Manuale-Metodologico-Consensus.pdf

 

 

 

Venerdì, 19 Luglio 2019 10:54

Recensione Il Business della salute

Medicine e bugie.

Il business della salute. Come difendersi dai ciarlatani

Salvo di Grazia

Chiarelettere, 2017. 204 pagine. 15 euro

In questo libro, come da titolo, si parla molto delle bugie, truffe e ciarlatani che affollano oggi il campo della medicina: del bluff degli integratori alimentari e dei molti farmaci di dubbia efficacia (i farmaci antigastrite ed antireflusso) o dai molti effetti collaterali gravi (dall’ossicodone alla paroxetina), di omeopatia e cure alternative (la cristalloterapia!), del business del “naturale” e di molto altro ancora. Tutto nasce dalla forte richiesta, per non dire ossessione, della società moderna di benessere e dal concomitante terrore delle malattie, anche di quelle inventate (la calvizie, per esempio, che non è una malattia ma è diventata una cospicua fonte di guadagno per big pharma, sebbene più del 90% dei prodotti in vendita in farmacia sia del tutto priva di efficacia…) o comunque avvolte da un alone di mistero (come la sindrome da fatica cronica o la sensibilità chimica multipla) che si trasformano in piaghe sociali da trattare ad ogni costo. Basta aumentare le malattie per far proliferare i rimedi…Si parla anche di pediatria, come a proposito della bufala delle collanine d’ambra per la cura dei disturbi della dentizione dei lattanti: sarebbe l’effetto del lento rilascio dell’acido succinico o addirittura l’effetto bioenergetico dell’ambra stessa, fatto sta che quasi tutti i nostri piccoli pazienti ne sono muniti. Beato chi ci crede, peccato lo siano le stesse mamme che affollano i nostri ambulatori! Siamo tutti creduloni ed ingenui, bombardati dalla pubblicità, compriamo farmaci di dubbia efficacia, ci sottoponiamo a costosissimi accertamenti e screening ogni anno, anche quando non ce n’è bisogno, siamo in balia della prima novità farmaceutica che ci prometta gioventù e bellezza oltre a salute.

Noi poi, abbiamo l’aggravante di essere medici e quindi più consapevoli dei pazienti di quanto sia provato e validato e quanto invece sia inconsistente scientificamente.

Salvo Di Grazia combatte da anni, con il suo stile brillante e ironico, contro truffe e ciarlatani in ogni sede ed in ogni luogo (libri, social media, congressi...). E’ uno stimato e seguitissimo debunker in ambito sanitario. Si autodefinisce “specialista in ostetricia, ginecologia, fisiopatologia della riproduzione umana, medico ospedaliero. Divulgatore scientifico fuori orario. Scrittore, papà, marito, ex chitarrista e genio incompreso nel week end”.

Visitate il suo blog: http://www.medbunker.it/ . E’ sempre una lettura interessante e piacevole. Salvo di Grazia è sempre stato in prima linea anche nella promozione delle vaccinazioni e smantellando con costanza e abnegazione le molte bugie dei no vax.

A cura di Domenico Meleleo, referente FIMP per le Linee di indirizzo sull’attività fisica del Ministero della Salute

L’attività fisica nei bambini e negli adolescenti (5-17 anni) include gioco, esercizio strutturato, sport e dovrebbe essere di tipo prevalentemente aerobico; in questa fascia di età l’OMS raccomanda di: – praticare almeno 60 minuti al giorno di attività fisica di intensità da moderata a vigorosa; – includere attività che rafforzino l’apparato muscolo-scheletrico almeno 3 volte a settimana. (Istisan 2018). Ma cosa sono le attività di tipo "aerobico" e quelle di  "forza o contro-resistenza"? Ricordiamo innanzitutto che i meccanismi fisiologici con cui l'organismo produce l'energia (ATP) necessaria al movimento sono quello Aerobico, quello Anaerobico Alattacido e quello Anaerobico Lattacido. Il meccanismo Aerobico (dal greco έρος = aria), per il quale è necessario l'Ossigeno, è quello legato alle vie metaboliche del ciclo di Krebs e della forforilazione ossidativa. in presenza di una adeguata quantità di ossigeno, produce ATP utilizzando come substrato sostanze derivate dal metabolismo dei lipidi e dei carboidrati, trasformandoli in acqua ed anidride carbonica. Questo meccanismo è utilizzato dalle cosiddette fibre muscolari "lente" o "rosse", per sostenere esercizi di bassa intensità e di lunga durata. Il meccanismo anaerobico alattacido è quello che anche in assenza di un apporto di ossigeno, produce ATP trasformando la fosfocreatina in creatina. Questo meccanismo può sostenere un’attività muscolare intensa, caratteristica delle cosiddette fibre muscolari "veloci" o "bianche", ma soltanto per pochi secondi, a causa delle limitate scorte di fosfocreatina. Quindi viene utilizzato ad esempio all'inizio di un movimento veloce. Il meccanismo anaerobico lattacido è quello che in assenza di ossigeno, produce ATP a partenza da una sostanza chiamata piruvato che viene trasformato in acido lattico. Questo meccanismo è utilizzato dalle fibre muscolari veloci o bianche del muscolo per le attività muscolari intense, con una durata dell'ordine di pochi minuti, a causa del fatto che l'accumulo oltre dell'acido lattico oltre una certa soglia, nella cellula muscolare, provoca il blocco della capacità contrattile di quest'ultima. Parlando invece di tipi di esercizio, l’esercizio fisico di tipo aerobico o di endurance (lunga durata) è tipico delle attività che consistono nella ripetizione di movimenti che coinvolgono la maggior parte dei gruppi muscolari per un periodo di almeno dieci minuti, come ad esempio, camminare, marciare, andare in bicicletta, nuotare, ecc. Tale tipo di esercizio viene detto aerobico perché utilizza prevalentemente l'omonimo meccanismo di produzione di energia. Se l’attività fisica aerobica è eseguita in modo abbastanza intenso e sufficientemente a lungo,  consente di mantenere o migliorare l'efficienza cardiorespiratoria di un individuo. Gli esercizi di tipo Anaerobico sono quelli in cui l'attività muscolare è eseguita ad alta intensità ed eccede la capacità del sistema aerobico di rendere disponibile energia ai muscoli in contrazione, con conseguente ricorso al metabolismo di tipo anaerobico (Lattacido e Alattacido). L'attività anaerobica può essere mantenuta per un breve periodo di tempo che dipende dall’intensità. Alcuni esempi sono corsa veloce e quegli esercizi che richiedono di vincere una forza (forza si gravità o pesi o elastici) quali ad esempio le  flessioni, l'arrampicata  e il sollevamento pesi. Questo tipo di esercizi sono chiamati anche Esercizi di Forza o di Contro-resistenza  e sono quelli consigliati nelle linee guida per rinforzare i muscoli e le ossa. La maggior parte dei giochi e degli sport comporta quindi sia una componente di esercizio aerobico, sia una di esercizio anaerobico o di contro resistenza. Tra gli sport a maggiore componente aerobica troviamo la marcia, la corsa di lunga durata, il ciclismo, lo sci di fondo. Passando invece a sport quali la corsa veloce, la danza, lo spinning, gli sport di combattimento e i giochi di squadra con la palla, si ha un incremento della componente anaerobica del metabolismo energetico ed infatti si tratta di sport che prevedono delle pause di recupero in cui ci si ferma o in cui l'attività rallenta, in modo da permettere alle cellule muscolari di smaltire l'accumulo di acido lattico che, come abbiamo detto, ne inibisce la capacità contrattile.

Venerdì, 19 Luglio 2019 10:50

SORDITÀ E TOY STORY 4

A cura di Giovanni Lenzi, coordinatore nazionale FIMP gruppo di studio Audiologia

 

Toy Story 4 creators praised for inclusivity after featuring boy with cochlear implant
https://www.standard.co.uk/news/world/toy-story-4-creators-praised-for-inclusivity-after-featuring-boy-with-cochlear-implant-a4178291.html

I creatori di Toy Story 4 sono stati elogiati per aver rappresentato un ragazzo che indossa un impianto cocleare nel film.
Un'immagine dell'ultima puntata della popolare serie Disney Pixar è stata condivisa online da genitori ed educatori di bambini non udenti, che l'hanno descritta come una "grande vittoria per l'integrazione".
I genitori hanno detto che i loro figli erano felicissimi quando hanno saputo dell'esistenza del personaggio. Disney ha detto che il personaggio è nato perché un membro della loro equipe, il cui figlio ha problemi di udito e indossa un impianto, era desideroso di integrarlo. Più di 5.500 giovani nel Regno Unito usano l’ impianto cocleare – un dispositivo che sostituisce la funzione dell'orecchio interno danneggiato che dà ai bambini sordi il dono dell'udito, secondo i dati del 2018. I social media sono stati inondati di elogi per il film.
Un utente di Twitter ha scritto: "Da circa un anno, faccio da baby-sitter a un bambino con paralisi cerebrale che ha un impianto cocleare.
"Il fatto che Toy Story 4 abbia un bambino con un impianto cocleare è una grande vittoria per l'integrazione. 
"Grazie per questa rinforzo, Pixar." Il filantropo statunitense Jay Ruderman, la cui fondazione si concentra sull'integrazione delle persone con disabilità, ha dichiarato: "È fantastico vedere Disney Pixar che ritrae una classe piu’diversificata e integrata in Toy Story 4 presentando un bambino con un impianto cocleare. "La rappresentazione e la visibilità della diversità sono così importanti, specialmente per i nostri bambini". Anche Zack e Dylan Pezzuto, che sono nati sordi e hanno ricevuto impianti a sei mesi a New York, sono stati entusiasti. Hanno trascorso due anni a Londra, a Oxford e con il programma di intervento precoce di Auditory Verbal, e ora frequentano una scuola tradizionale e parlano correntemente inglese e italiano. La loro mamma, Deborah, ha descritto le reazioni dei ragazzi quando ha mostrato loro una foto del ragazzo di Toy Story 4. Ha detto: "Zack mi ha detto, 'Ho bisogno di correre a scuola per dirlo a tutti i miei amici. Quanto siamo fighi? "Dylan ha detto, 'Mamma questo ragazzo assomiglia a Zack. Dobbiamo dirlo all'insegnante "." Un'altra madre, Avril, il cui figlio Orson indossa gli apparecchi acustici e ha completato il programma di terapia di Auditory Verbal, ha detto che non vedeva l'ora di parlargli della nuova animazione. Ha detto: "Orson non è riuscito a dormire l'altra sera e mi è venuto incontro chiedendomi perché i suoi amici non indossassero gli apparecchi acustici, quindi abbiamo parlato molto di apparecchi acustici e protesi. "Penso che sia importante aumentare il profilo di bambini e adulti con apparecchi acustici e protesi. "Riduce ogni stigma, fa sentire le persone a proprio agio a parlare e realizzare che i bambini non udenti possono ottenere lo stesso risultato di un bambino udente". Anita Grover, CEO di Auditory Verbal, ha dichiarato: "Siamo così lieti che Pixar abbia preso la decisione di integrare un bambino con un impianto cocleare, poiché ciò significherebbe molto per i bambini che indossano la tecnologia dell'udito e le loro famiglie. "Aiuta anche a sensibilizzare sulla perdita di udito nei bambini"

A cura di Giovanni Lenzi, coordinatore nazionale FIMP gruppo di studio Audiologia

(Tratto da : AssoCare informazione Giugno 2019)

Diventare sordi è una delle sciagure più invalidanti. Ipoacusia e sordità sono patologie assai diffuse.

C’è una patologia di cui si parla poco, nonostante colpisca un italiano su 10, rappresenti una delle prime cause acceleranti la demenza senile, sia in costante aumento ed addirittura sia stata oggetto di una risoluzione delle World Health Organization (OMS) nel 2017: la sordità, ovvero perdita dell’udito.

L’ipoacusia e la sordità, sono problemi sempre più diffusi non solo nella popolazione anziana ma anche in quella giovane eppure ancora sottovalutati e spesso trattati tardivamente o non trattati affatto.

Se negli stadi più lievi l’uso di un apparecchio acustico è in grado di dare un aiuto sufficiente, le ipoacusie gravi e profonde e la sordità totale hanno bisogno di soluzioni più avanzate ed in particolare la risposta al problema potrebbe essere l’Impianto Cocleare.

Ad oggi gli Impianti cocleari sono l’unico organo di senso artificiale esistente, in grado di trasformare i suoni in stimoli elettrici e trasmetterli, tramite un sistema composto da 22 sottilissimi elettrodi inseriti all’interno della coclea, al nervo acustico come farebbero le cellule ciliate in un paziente normoacusico.

L’impianto cocleare nella sua forma moderna è stato inventato negli anni ’70 dal Professor Grame Clark, un medico australiano che ha poi fondato Cochlear, la più grande ed avanzata azienda del settore.

Grazie ad ingenti investimenti in ricerca e sviluppo gli impianti cocleari sono evoluti rapidamente e continuano a farlo

Dalle prime versioni, grandi come un walkman e che richiedevano interventi chirurgici di parecchie ore, si è arrivati ai moderni sistemi

Esteticamente poco più grandi di un apparecchio acustico, i più recenti impianti cocleari possono collegarsi direttamente con gli Iphone, essere programmati e monitorati in remoto e superano moltissimi dei limiti iniziali ampliandone le possibilità di utilizzo.

Basti pensare che l’ultimissima generazione, nata proprio in casa Cochlear, permette di effettuare risonanze magnetiche in elezione a 3 Tesla senza problemi e nel contempo, con una veloce e facile rimozione del magnete interno, di gestire quelle in emergenza, quelle nel sito dell’impianto o con apparecchiature più potenti, cosa impensabile fino a poco tempo fa.

Una tecnologia, quella degli impianti cocleari, quindi tra le più evolute del settore medicale e che oggi è in grado di restituire l’udito alla stragrande maggioranza dei pazienti sordi, di qualsiasi età, con un intervento minimamente invasivo supportato con la giusta logopedia.

A cura di Teresa Cazzato, Coordinatrice nazionale gruppo di studio Allattamento

 

La FIMP, rappresentata dal Presidente Paolo Biasci e dalla Coordinatrice nazionale per l’allattamento Teresa Cazzato, ha partecipato alla riunione del Tavolo Tecnico Operativo Interdisciplinare per la promozione dell’allattamento al Seno (TAS) che si è tenuta a Roma, presso la sede del Ministero della Salute, l’11 Aprile 2019.

L’obiettivo della riunione è stato quello di cercare una formula comune di formazione dell’allattamento al seno sia in ambito Universitario (pre-service) che per i Pediatri, i Neonatologi e i vari Operatori Sanitari che operano (in-service).

Invitati dal Dott. Riccardo Davanzo, Presidente del TAS, sono intervenuti alla riunione anche il Prof. Mosca, Presidente SIN, il Dott. Agosti, Responsabile Gruppo di Studio Allattamento SIN, il Dott. Salvatori per la SIP, il Prof. Buonocore, Presidente del collegio dei professori ordinari di Pediatria. Ognuno degli intervenuti ha esposto l’impegno delle varie sigle nell’ambito della formazione, su questo argomento, e tutti sono stati concordi nel sottolineare l’importanza di un lavoro sinergico in tema di allattamento al seno, sia per la formazione nelle scuole di specializzazione, sia per la formazione in tutti i vari ambiti compreso il territorio con i Pediatri di Libera Scelta.

Al termine della riunione si è deciso di istituire due gruppi di lavoro:

  1. un gruppo di lavoro universitario sulla formazione pre-service in allattamento, con partecipazione di SIP, SIN, Collegio dei professori ordinari di pediatria, Collegio delle Scuole di pediatria.
  2. un gruppo di lavoro sulla formazione in-service del pediatra al quale parteciperanno SIP, SIN e FIMP.

Durante la riunione si era altresì condivisa l’opportunità che gli obiettivi del TAS venissero realizzati in modo condiviso tra le diverse società scientifiche coinvolte (SIN, SIP, FIMP).

Nonostante ciò la SIN e la SIP hanno deciso di inviare al dott. Davanzo una lettera d’intenti senza coinvolgere la pediatria di famiglia.

La FIMP ha pertanto predisposto una propria lettera d’intenti che è stata inviata il 24 giugno scorso di cui è stata data comunicazione a tutti gli iscritti attraverso una newsletter della presidenza il 25 giugno e che riproponiamo con questa newsletter scientifico-culturale.

Un tavolo di lavoro della FIMP sta ora predisponendo una progettualità per la promozione della formazione su protezione, promozione e sostegno all’allattamento sulla quale vi terremo aggiornati.

Martedì, 11 Giugno 2019 08:35

RECENSIONE DEL MESE - GIUGNO 2019

A cura di Fabrizio Fusco, pediatra di famiglia - Valdagno

Simon Baron-Cohen

“LA SCIENZA DEL MALE” ovvero “L’empatia e le origini della crudeltà”

Raffaello Cortina Editore, 2012. 21 euro

La storia abbonda di esempi di crudeltà umana: non solo la shoah perpetrata dal nazismo, ma anche il genocidio degli armeni, ai tempi dell’impero ottomano, o più recentemente l’altrettanto terribile genocidio dei tutsi in Ruanda e… per non parlare dei tanti altri piccoli crimini quotidiani, di cui è piena la cronaca di ogni giorno, che ci fanno interrogare sulla malvagità umana.

Cattivi si nasce: è quanto afferma lo psicologo inglese Simon Baron-Cohen, che ritiene che la cattiveria sia una malattia dovuta alla scarsa capacità empatica.

In precedenti saggi, l’Autore si era occupato di autismo e altri disturbi del comportamento. Già allora si era posto le domande: a cosa si deve la incapacità ad empatizzare? Cosa accade quando perdiamo il desiderio o la capacità di comprendere ciò che provano gli altri? Disturbo borderline della personalità, psicopatia, narcisismo, Asperger ed autismo: patologie diverse ma legate da una assoluta mancanza di empatia.

Ma cosa distingue il comportamento di questi dalla malvagità di uno psicopatico?

In questo libro Baron-Cohen scava in profondità nella nostra anatomia, indicandoci come funziona, o non funziona, nel nostro cervello, il “circuito dell’empatia”.

L'empatia è una capacità innata, tuttavia ci sono delle forti differenze individuali e la comprensione dell'altro non è frutto solo di sforzo intellettuale, ma dell'attività di precise aree cerebrali che ci rendono più o meno sensibili e attenti verso gli altri.

Per Baron-Cohen la capacità di "mettersi nei panni degli altri" può esprimersi in 6 gradi, dal livello massimo, che denota forte intuitività e comprensione degli altri, fino al grado zero, in cui la capacità empatica umana è pressoché assente. La maggior parte delle persone si trova più o meno a metà, è possibile che si verifichino dei cali temporanei di empatia, ma ci sono anche individui poco empatici a causa di una precisa conformazione dei loro circuiti neurali.

L’Autore spiega come siano rilevanti non solo i fattori sociali e ambientali, come l’indifferenza dei genitori o i vari tipi di abuso, ma anche quelli più propriamente biologici e quindi come i nostri geni possano renderci più o meno capaci di metterci nei panni degli altri. Naturalmente l’empatia può essere coltivata e sviluppata, magari a scuola e a casa.

Insomma, la società moderna ci pone un'altra sfida individuale: quella di sentirci vicini al prossimo, quella di uscire dalla nostra dimensione individuale per calarci nei panni degli altri.

Solo questo quotidiano esercizio ci può salvare dalla crudeltà, caratteristica infamante della nostra specie.

Se il tema vi intriga, vi aspettiamo al congresso FIMP di Paestum, dove dialogheremo con Alessandro Albizzati del bambino cattivo.

A cura di Emanuela Malorgio, coordinatore nazionale gruppo di studio SONNO

Carissimi colleghi eccoci di nuovo a parlare di sonno. Questa volta di sonno e dispositivi elettronici o devices.

Come sapete negli ultimi anni molto si è scritto sull’ uso indiscriminato dei devices quale causa di deprivazione di sonno e di disturbi del neuro-sviluppo, in particolare dell’apprendimento scolastico nei pre-adolescenti e negli adolescenti (1).

Secondo una revisione americana i devices sono presenti nelle camere da letto del 75% dei bambini e nel 90% degli adolescenti; inoltre circa il 60% degli adolescenti intervistati riferiscono di visualizzare o interagire con gli schermi nelle ore precedenti il sonno (2).

Una recente revisione sistematica di 67 studi sul tempo di utilizzo dello schermo e dei media in giovani e adolescenti (1999-2014), ha evidenziato nel 90% della popolazione esaminata, una riduzione del tempo totale di sonno con una conseguente deprivazione di sonno, legata all’ uso di device serale e notturno (3).

L’uso regolare dei device da parte dei ragazzi è molto diffuso anche in Italia come in molti altri paesi europei ed extra-europei (in Irlanda ad esempio recenti studi hanno evidenziato che un bambino su due utilizza tutti i giorni i dispositivi touchscreen).

Ma poco è stato scritto circa i bambini più piccoli.

Eppure è esperienza comune quanto sia diffuso l’uso in qualità di “baby sitter” di smartphone, tablet, televisione, PC tra i bambini di età anche inferiore all’ anno. Chi di noi non ha ricevuto almeno una volta un lattante ancora sul passeggino, ma già con in mano lo smartphone del genitore, distratto e contenuto da un gioco o un video ?

Il Progetto Buona Notte sviluppato dalla FIMP nel 2016 e per il quale molti di voi hanno fornito preziosa collaborazione, ha evidenziato come 1 bambino su 5 tra 1 e 5 anni utilizza quotidianamente un device e ha posto in correlazione tale uso con una deprivazione di sonno che si fonda sulla riduzione del tempo totale del sonno stesso e sulla maggior latenza al sonno (tempo di addormentamento).

Su questo particolare argomento abbiamo concentrato la nostra attenzione, pubblicando un articolo sulla rivista European Journal of Pediatrics (4)

Le modalità con cui i device determinano un disturbo del sonno in questa fascia di età non si discostano da quelle relative all’adolescenza:

1) l’uso serale dei devices allunga il tempo di latenza all’addormentamento riducendo il tempo totale di sonno;

2) il contenuto di cio’ che il device propone normalmente (film, cartoni animati, giochi violenti e\o veloci) eccita il SNC, aumenta il livello di arousal cognitivo, stimolando i neurotrasmettitori eccitatori e contrastando o ritardando la secrezione delle sostanze che inducono il sonno: inoltre giocare con un dispositivo touchscreen con maggiore livello di interattività potrebbe essere più stimolante del semplice guardare un dispositivo stazionario con uno schermo non interattivo;

3) la luce emessa dai video (soprattutto la luce blu) riduce la produzione di melatonina endogena, attraverso la stimolazione del sistema foto-neuro-endocrino.

Sapevate che l'American Academy of Pediatrics, dopo aver esaminato la letteratura esistente su tradizionali e nuovi media, ha emesso nel 2016 una “dichiarazione politica” che raccomanda alle famiglie di evitare qualsiasi utilizzo di supporti digitali da parte dei bambini fino a 24 mesi (e sottolineo: evitare qualsiasi utilizzo), limitando l'uso dello schermo a 1 ora al giorno per bambini da 2 a 5 anni scegliendo sempre programmi dai contenuti di buona qualità?

Sicuramente questi sono consigli molto difficili da far accettare ai nostri genitori, ormai dipendenti (come tutti) da questi strumenti di comunicazione.

Proviamo però a considerare con loro due aspetti:

-          il primo è che lo sviluppo del cervello del loro piccolo avviene in modo significativo nei primi 3 anni di vita, periodo in cui il sistema nervoso centrale si trova nello stadio di sviluppo più vulnerabile [16]; ma forse questo è un concetto un po' lontano ai più dei nostri genitori.

-          il secondo è legato al fatto che il loro bambino nei primi anni di vita costruisce quella che sarà la “biblioteca madre” delle nozioni fondamentali su cui costruiranno tutte le conoscenze e le capacità intellettive…e tradotto per i nostri genitori si potrebbe dire che un uso corretto di questi device renderà il loro bambino più intelligente e sveglio. Questa idea potrebbe facilitare una maggior aderenza ai nostri consigli (come dice il proverbio.. adattandolo un po': ogni scarrafone è “genio” a mamma sua).

Non a caso ho scritto “un uso corretto dei device”: infatti credo che il consiglio di “non usare” i device sia anacronistico e che sia più aderente all’ evoluzione dei nostri tempi suggerire un “uso intelligente” dei device: ad esempio nei primi Bilanci di salute invitare la mamma e il papà a posticipare l’ avvicinamento del piccolo ai device dopo i due anni, favorendo nei primi 24 mesi la lettura ed il gioco interpersonale del piccolo (come “baby sitter” sono sicuramente meglio nonni, nido, scuola materna o ludoteca piuttosto che la televisione o gli smartphone).

Successivamente stabilire insieme ai genitori tempi e modalità di utilizzo di questi strumenti dai 24 mesi in poi consigliando l’uso per 1 o 2 ore al giorno e lontano dalla fase di addormentamento. In tale momento consigliate la lettura condivisa di un libro, sottolineando la bontà di tale abitudine sia per consolidare un bel rapporto col proprio bambino, sia per facilitare il suo apprendimento scolastico (chissà che qualche dislessia o disgrafia o “dis-che vogliamo” vada riducendosi, attraverso una costante lettura di libri …).

Concludo ringraziando tutti i colleghi che hanno dedicato del loro prezioso tempo alla raccolta dei dati per il Progetto Buona Notte: solo con questi possiamo fare ragionamenti concreti su come impostare il nostro lavoro e sull’orientamento della spesa delle nostre energie.

Alla prossima Newsletter.

Bibliografia

  1. Monique K. LeBourgeois, Lauren Hale, Anne-Marie Chang, Lameese D. Akacem, Hawley E. Montgomery-Downs and Orfeu M. Buxton. Digital Media and Sleep in Childhood and Adolescence. Pediatrics. 2017; 140(Suppl 2): S92–S96
  2. Ahearne C, Dilworth S, Rollings R,Livingstone V,Murray D. Touch-screen technology usage in toddlers. Arch Dis Child 2016; 101(2):181–183
  3. Carter B, Rees P, Hale L, Bhattacharjee D, Paradkar MS. Association between portable screen-based media device access or use and sleep outcomes: a systematic review and meta-analysis. JAMA Pediatr 2016; 170(12):1202–1208
  4. Chindamo S, Buja A, DeBattisti E, Terraneo A, Marini E, Gomez Perez LJ, Marconi L, Baldo V, Chiamenti G, Doria M, Ceschin F, Malorgio E, Tommasi M, Sperotto M, Buzzetti R, Gallimberti L. Sleep and new media usage in toddlers. Eur J Pediatr 2019; 178: 483.

Martedì, 11 Giugno 2019 08:30

AMBIENTE E CAMPI ELETTROMAGNETICI

A cura di Vito Romanelli, Area Ambiente e Salute FIMP

Le ricerche più autorevoli degli studiosi di tematiche ambientali suggeriscono ormai di considerare l’uomo come un vero e proprio sistema comunicativo, aperto e multi-direzionale, in grado, quindi, di determinare continue modifiche dell’ambiente che lo circonda e di esserne a sua volta modificato in maniera costante e dinamica.

L’uomo “informa” il suo ambiente e ne viene a sua volta “informato” in modo incessante e sistematico.

E’ molto probabile che un ruolo fondamentale lo giochino in questo senso anche le esposizioni a campi elettromagnetici (CEM), in quanto le onde stesse hanno, a seconda della propria frequenza, differenti capacità di penetrazione in vari tessuti biologici (ossa, cervello, cristallino, midollo spinale, etc.).

I ricercatori internazionali in molteplici studi segnalano significative correlazioni ed ipotizzano alterazioni dell’organismo successive alla esposizione, distinguendo però fra esposizioni a RF (radiofrequenze di tv, radio, cellulari) ed esposizioni ad ELF (extramely low frequency, diffuse da elettrodotti, forni industriali, etc.)

I danni ipotizzati riguardano il sistema ghiandolare, la sfera riproduttiva e la stessa sfera comportamentale (irritabilità, stanchezza, cefalea).

Particolare importanza rivestono le numerose segnalazioni di correlazioni fortemente sospette fra l’esposizione ai campi elettromagnetici ELF e l’insorgere di tumori celebrali e, soprattutto, di leucemie ((Ahlbom A, Day N, Feychting M, Roman E, Skinner J, Dockerty J, Linet M, McBride M, Michaelis J, Olsen JH, Tynes T, Verkasalo PK. Br J Cancer. 2000 Sep;83(5):692-8. A pooled analysis of magnetic fields and childhood leukaemia.).

Inoltre, recenti studi “in vitro” sia su cellule animali che su cellule umane (staminali e non) evidenziano chiaramente il verificarsi di veri e propri danni cellulari, a seguito delle esposizioni ai campi elettromagnetici RF, a causa degli effetti termici da essi indotti.

Si tratta di importanti alterazioni a carico della membrana cellulare, con danni molecolari che in particolare riguardano l’equilibrio elettrochimico della membrana stessa.

Si possono anche creare frequenti danni a carico dello stesso DNA cellulare. (Vijayalaxmi(1), Obe G, Bioelectromagnetics. 2005 Jul;26(5):412-30. Controversial cytogenetic observations in mammalian somatic cells exposed to extremely low frequency electromagnetic radiation: a review and future research recommendations.)

Succede, infatti, che le stesse cellule non riescano a riparare il danno subito anche se utilizzano quei meccanismi compensatori di cui naturalmente dispongono e che normalmente risultano essere, invece, molto efficaci.

Il danno diventa pertanto permanente e, dunque, trasmissibile alle generazioni successive.

Le analisi e gli studi riportati in riferimento alle modalità di esposizione ai cellulari indicano che fino anche al 50% della energia emanata dagli stessi viene assorbita dalla testa. Nel tempo, opacizzazione del cristallino, acufeni e fosfeni, stanchezza, mal di testa, calo della memoria, aumento della pressione intraoculare, degenerazioni tumorali a carico del nervo acustico sono stati studiati in correlazione all’esposizione a CEM ((Environ Health Perspect. 2004 Dec; 112(17):1741-54. Epidemiology of health effects of radiofrequency exposure. Ahlbom A, Green A, Kheifets L, Savitz D, Swerdlow A; ICNIRP (International Commission for Non-Ionizing Radiation Protection) Standing Committee on Epidemiology.).

Sono stati condotti anche studi che studiano la correlazione tra l’esposizione a cem e una riduzione delle capacità e delle funzioni cognitive, in particolare nei bambini, le cui ossa craniche presentano uno spessore minore e, dunque, risultano più vulnerabili alle radiazioni stesse (Haarala C, BjÃrnberg L, Ek M et al.. Effect of a 902 MHz electromagnetic field emitted by mobile phones on human cognitive function: a replication study. Bioelectromagnetics 2003; 24:283-8). Va inoltre segnalata la maggiore “vivacità” ed il maggior grado di attività delle cellule degli organismi dei bambini.

L’uso dei cellulari, dunque, va considerato chiaramente tanto più dannoso quanto più bassa è l’età del soggetto esposto alle radiazioni.

Il rischio di sviluppare una leucemia infantile acuta si stima essere triplicato nei bambini esposti alle onde elettromagnetiche rispetto a quanti, invece, non siano esposti (Ahlbom A, Day N, Feychting M, Roman E, Skinner J, Dockerty J, Linet M, McBride M, Michaelis J, Olsen JH, Tynes T, Verkasalo PK. Br J Cancer. 2000 Sep;83(5):692-8. A pooled analysis of magnetic fields and childhood leukaemia.)

Il danno correlabile all’uso del telefonino è comunque strettamente connesso ai tempi di utilizzo dello stesso, come del resto è logico attendersi.

Le percentuali relative allo sviluppo di patologie severe (in primis tumori del s.n.c.) aumentano del 20-30 % per una esposizione ed un utilizzo continuativo che superi i dieci anni (Comba P. Studi epidemiologici sui campi elettromagnetici: evidenze di rischio e indicazioni per la prevenzione. E&P 2002;4:191-79).

In verità occorre precisare che a partire dal 2013 la agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lyon ha elevato la classificazione dei campi elettromagnetici a Radiofrequenze dalla classe “3” (non cancerogeni) alla classe “2B”, ovvero possibili cancerogeni.

Martedì, 11 Giugno 2019 08:28

BREASTMILK SHARING

A cura di Teresa Cazzato, coordinatrice nazionale gruppo di studio allattamento

Cos’è

Il breastmilk sharing è la condivisione del latte umano. In passato veniva chiamata balia o nutrice quella donna che allattava il bambino di un altro; questa era l’opzione più sicura e più diffusa per nutrire un lattante che non poteva essere allattato, per particolari motivi dalla madre. L’utilizzo della nutrice, nel XIX secolo, ha perso di popolarità per le possibili conseguenze sul legame tra la mamma e il bambino o per la possibile trasmissione di patologie.

Oggi il fenomeno sta riprendendo piede ma in una forma che parte da presupposti differenti rispetto al passato e che obbliga ad una riflessione etica, tanto che potremmo definire il milk-sharing il commercio del latte umano su internet. Fenomeno molto diffuso negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

Nei Paesi Anglosassoni, circa 55.000 mamme vendono e comprano il loro latte on-line con prezzi che arrivano fino a 10 euro per 100 gr di latte. Tutto ciò comporta certamente dei rischi perché il latte viene venduto in Internet senza nessun controllo, soprattutto per quanto riguarda la provenienza, mancano i controlli su conservazione e trasporto, né se il latte è mescolato con latte vaccino; inoltre non è possibile sapere se la madre assume farmaci, droghe, alcool o se è fumatrice.

Questa prassi va certamente scoraggiata per tutti i motivi precedentemente espressi o intuibili o comunque una madre deve essere consapevole di una scelta e dei possibili rischi e benefici.

In Italia il 5 dicembre 2013 la Conferenza Stato Regioni ha sancito l’accordo "Linee di indirizzo nazionale per l'organizzazione e la gestione delle banche del latte umano donato nell'ambito della protezione, promozione e sostegno dell'allattamento al seno" 

La donazione del latte umano è regolata attraverso il Presidio delle banche del latte presso le Terapie Intensive e le Neonatologie di alcuni Ospedali, sottolineando che il latte umano è considerato un farmaco salvavita, molte volte l’unico o quasi a cui si lega la speranza di sopravvivenza dei neonati prematuri o con patologie.

Si raccomanda pertanto di utilizzare, per particolari necessità, i canali istituzionali e rivolgersi a professionisti del settore evitando pratiche dettate dalle mode, dal web o dai social.