FIMP NEWS

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Lunedì, 14 Ottobre 2019 11:37

RECENSIONE DEL MESE

A cura di Fabrizio Fusco, pediatra di famiglia Valdagno

ORA DIMMI DI TE.

LETTERA A MATILDA

Andrea Camilleri

Bompiani, 2018. 107 pagine. 14 euro

 

Un omaggio postumo ad Andrea Camilleri (1925-2019), un grande della Letteratura italiana contemporanea, come dimostrato dall’entità del suo successo per numero di copie di libri venduti e di lingue in cui è stato tradotto (si calcola almeno 120).

Ho scelto di segnalarvi questo libro, perché è uno degli ultimi, è un po’ diverso dagli altri e perché guarda anche futuro, come noi pediatri. In “Ora dimmi di te” Camilleri ripercorre parallelamente la sua vita e la storia dell’Italia contemporanea che ha vissuto, una sorta di testamento morale che lascia alla piccola Matilde, la pronipote. Avrei altrimenti potuto scegliere fra gli altri 100 e più libri da lui scritti, e vi invito a leggerli tutti, alcuni della saga del Commissario Montalbano (forse i più noti, anche grazie alla riduzione televisiva molto seguita e al bravo Zingaretti che interpreta appunto Montalbano, l’ultimo di quali è “Il cuoco dell’Alcyon”), altri cosiddetti storici, che meritano di essere letti tutti, dalla “Concessione del telefono” al “Birraio di Preston” a “La presa di Macallè” e a “Il nipote del Negus”, a tratti veramente esilaranti.

Grazie ai suoi libri, tutti noi lettori affezionati abbiamo imparato un po’ alla volta e non senza qualche difficoltà iniziale il siciliano, dialetto nel quale amava scrivere buona parte dei suoi libri.

Cosa rimarrà di noi nella memoria di chi ci ha voluto bene? Come sarà raccontata la nostra vita ai nipoti? E’ con queste domande che Camilleri inizia a scrivere il libro. La storia personale (narra degli incontri fondamentali con la moglie Rosetta, con Elvira Sellerio, per esempio) e quella italiana, dall’Italia del ventennio ad oggi, vengono ripercorse con humor e limpidezza, e tracciano la storia di un Camilleri innamorato della vita e dei suoi personaggi. Scrive con il coraggio di raccontare gli errori commessi e le disillusioni provate, con la grande commozione di un bisnonno che può solo immaginare il futuro e consegnare a Matilda e a tutti noi la lanterna preziosa del dubbio.

A cura di Giuseppina Annicchiarico, coordinatore nazionale gruppo di lavoro malattie rare FIMP

 

“Quando funziona per le rare funziona per tutto”. Equità, contrasto alla solitudine del malato e della sua famiglia, ricerca di altissimo livello, e poi continuità, sostenibilità e control­lo dei finanziamenti per evitare sprechi e fuga dei “cervelli”. La sfida dell’I­talia è partita, ma senza una continuità di finanziamenti pubblici ancora insufficienti e spesso distribuiti a pioggia. Se ne è discusso in Puglia all’interno del Forum Mediterraneo che si è tenuto in Fiera del Levante a Bari dal 19 al 20 settembre 2019.

“La ricerca va di pari passo con l’assi­stenza – spiega la coordinatrice regio­nale Malattie Rare (MR) di ARESS Puglia Giuseppina Annichiarico, responsabile anche del Gruppo di studio MR nazionale FIMP – non siamo al punto zero, ma abbiamo creato un’impalcatura im­portante. Si è parlato dell’interessa­mento della politica per questo tema. Bene. Insieme ai coordinatori regionali Malattie Rare e i segretari regionali di FIMP - Federazione Italiana Medi­ci Pediatri- di Puglia, Calabria, Sicilia, Campania e Basilicata, alla Rete AmaRe Puglia (la rete delle 23 associazioni di malattie rare in Puglia), al tavolo Interregionale MR (Prof.ssa Facchin), al Centro Nazionale malattie Rare ISS (dott.ssa Taruscio), alla CARD Puglia, al CNR di Lecce e ad un gruppo di giovani scienziati emigrati e rientrati a Bari per l’occasione abbiamo scritto un documento “ ExpoRare” per l’appunto, dove vengono elencati dieci punti program­matici da inviare all’attenzione del Ministro della Salute, del Ministro dell’Innovazione, Università e Ricerca e dei Presidenti delle Regioni del Sud”. Alle istituzioni si chiede l’applicazione di una normativa, quella italiana, già capiente per la cura ai malati.

Questi i punti del documento ExpoRare: 1) Consolidamento delle reti di assistenza ai malati rari; 2) Sviluppo di ricerca nel trasferimento dell’innovazione; Sviluppo di infrastrutture, di piattaforme della ricerca che attragga più gruppi di ricercatori emigrati per permettere a questi di tornare a fare ricerca; 3) Sviluppo della teleassistenza per il contatto di centri, ospedali e luoghi di prossimità della cura del malato; 4) For­mazione e aggiornamento sulle malat­tie rare; 5) Aggiornamento delle liste dei farmaci necessari alle cure delle MR e costituzione di un fondo dedicato per i farmaci; 6) Inserimento negli obiettivi di piano dei Direttori Generali delle aziende aspetti relativi all’ottimizzazione dei percorsi delle malattie rare con definizione di indicatori misurabili e implementazione di CUP dedicati per le prestazioni relative alle malattie rare; 7) Organizzazione territoriale che, partendo dai modelli attuativi attuali, agevoli il collegamento tra centri di cura ; 8) Definizione della qualità dei servizi erogati e qualità dei singoli centri; 9) Inserimento, tra le prestazioni LEA di assistenza domiciliare, anche delle prestazioni relative alla continuità assistenziale ospedale-territorio e viceversa; 10 ) Inclusione scolastica e pro­getti d’istruzione domiciliare con coin­volgimento di tutti i gradi della scuola”.

Tra gli interventi della mattinata quello di Luigi Nigri, Vice Presidente nazionale FIMP e Teresa Cazzato, comitato scientifico nazionale FIMP, che hanno affermato ruolo e coinvolgimento della pediatria di famiglia italiana. E’ intervenuto Mons. Francesco Savino della Dioce­si di Cassano all’Jonio che ha sottoline­ato come nel mondo di oggi si sia persa l’umanizzazione delle cure. “L’umaniz­zazione è costitutiva delle professioni. Tuttavia, viviamo il tempo della disu­manizzazione e mi auguro che nasca una nuova stagione. Il diritto di cura dei malati è prevaricato dagli interessi privati, dalle speculazioni economiche, dalla modernità. La modernità fallisce con la fraternità che non si capisce che fine abbia fatto. L’altro ci dà fastidio. Allora in quest’ottica, propongo ai me­dici di ritrovare l’umanizzazione delle cure con l’etica della sedia. Medici se­detevi al fianco del malato”.

Sui finanziamenti pubblici per la ricer­ca nel settore delle cure per le malat­tie rare, il direttore generale Ricerca e Innovazione in Sanità del Ministero della Salute, Giovanni Leonardi sottoli­nea: “I finanziamenti agli istituti di ri­cerca e all’università non vengono fatti a caso ma sono preceduti da una serie di analisi del lavoro svolto. Vengono valutati sulla performance dimostrata, l’effi­cienza, la qualità dell’assistenza, la capacità di lavora­re in rete. Abbia­mo anche avviato un progetto con un finanziamento di circa 1,2 mln di euro per le in­dagine genetiche di quelle patolo­gie che non hanno diagnosi”. A chiu­dere la sessione di lavori l’intervento della senatrice PaolaBinetti, Gruppo Interparlamentare Malattie Rare. “Ab­biamo dei nuovi interlocutori al Gover­no.

Questo però non rallenterà il bisogno di trovare subito delle risposte e una chiarezza normativa. Il paziente non deve imbattersi nella burocrazia ed avere così una sofferenza aggiuntiva. Il dialogo trasversale delle varie forze politiche e il lavoro che stiamo facendo è finalizzato a concretizzare tre punti fondamentali: un piano nazionale per le malattie rare, un finanziamento dedica­to, e soprattutto, un quadro normativo semplificato”.

La consapevolezza della opportunità di azioni di sanità pubblica in tema di Malattie Rare (MR) si è sviluppata negli ultimi anni grazie ai dati provenienti in maniera omogenea da tutti i territori italiani attraverso i registri regionali MR. Una opportunità determinata dal sistema sanitario universalistico quale è il Sistema Sanitario pubblico italiano. A fronte di circa 8.000 diverse entità nosologiche, dalle rilevazioni del 4° rapporto “MonitoRare”, realizzato nel luglio 2018 da UNIAMO, Federazione Italiana che collega circa 110 Associazioni d’utenza per le MR, le persone che ne sono affette in Italia ammonterebbero a 309.000 circa. In regione Puglia i dati di prevalenza dei bambini e delle persone con MR sono sovrapponibili a quella delle persone affette da tumore. Il Sistema Informativo MR della Regione Puglia (SIMARRP) ne conta circa 20.000 e tra questi circa il 20% è costituito da bambini e adolescenti.

Le MR possono presentarsi fin dalla nascita o, come accade in oltre il 50% dei casi, manifestarsi in età adulta. Esse sono causa dei 2/3 della mortalità infantile e di metà di quella al di sotto dei 18 anni, e in termini di anni di vita perduti sono al terzo posto (4,6%) dopo l’infarto del miocardio (8,6%) e gli incidenti stradali (5,7%), e prima delle malattie infettive (1,2%).

Nonostante questi dati impressionanti di mortalità, è nel lungo decorso delle MR, e nella spesso gravissima disabilità e lunga fase di dipendenza assoluta e terminalità che esse determinano, che si esprime il massimo del danno da esse generate. Programmi di riabilitazione intensiva ed estensiva necessari in oltre il 40% dei malati. Tale percentuale può arrivare anche nell’80% dei casi di sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Circa il 10% degli affetti da MR presentano una lunga fase terminale che richiede specifiche cure palliative. Le MR richiedono anche interventi ad alto impatto tecnologico con modelli organizzativi avanzati che spesso inducono le famiglie a lunghi e ripetuti viaggi verso Centri di competenza molto lontani. Esse causano tra l’altro l’8% dei trapianti di fegato e il 18% di quelli multiorgano, quasi l’80% degli interventi di cardiochirurgia pediatrica e il 40% di quelli neurochirurgici e maxillofacciali integrati.

Ne deriva che le reti MR sono Reti interregionali, internazionali e multidimensionali e i professionisti che intercettano il malato nel suo percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) sono indotti alla condivisione di nuove conoscenze e all’innovazione.

In gioco la riqualificazione del sistema sperimentato in un ambito di riconosciuta alta complessità. Una riqualificazione a garanzia dell’equità ed incentrata, pur in tempi di magra, su motivazioni di ordine etico, a sostegno del malato e della sua famiglia.

A cura di Michele Mencacci, pediatra di famiglia Perugia

 

L’approccio terapeutico al Diabete Mellito tipo 1 (T1DM) ha subito notevoli evoluzioni negli ultimi anni, beneficiando dell’utilizzo di nuove tecnologie in grado di migliorare il compenso glicometabolico e la qualità di vita delle persone con Diabete. Si sta gradualmente passando dall’era della “terapia multi-iniettiva” (Multiple Daily Injections, MDI) all’utilizzo di dispositivi che erogano insulina nel tessuto sottocutaneo in maniera continuativa (Continuous Subcutaneous Insulin Infusion, CSII), utilizzando esclusivamente insulina ultrarapida, che viene somministrata sia in micro-boli continuativamente, per sopperire all’esigenza di una “insulinizzazione” basale, che in boli più consistenti in occasione dei pasti. Questo approccio risulta utilizzato dal 12.6% dei pazienti (Annali AMD 2018), ed è particolarmente utile in una serie di situazioni cliniche quali: instabilità glicemica, ipoglicemie frequenti o asintomatiche, elevata sensibilità all’insulina con richiesta di dosi molto basse (bambini piccoli), fenomeno “alba”.

Accanto a ciò, sono stati sviluppati una serie di sensori della glicemia (device indossabili o sottocutanei), che permettono di valutare e registrare il grafico circadiano delle glicemie, in modo da poterne evidenziare l’andamento anche in quei momenti in cui prima si poteva solo ipotizzare l’accaduto (“paziente di cristallo”).

L’obiettivo principale diventa più ambizioso: inizialmente infatti il target era quello di contenere i valori di Emoglobina Glicosilata (HbA1c), parametro indiretto dell’andamento delle medie glicemiche negli ultimi 3 mesi e strettamente correlato all’insorgenza di complicanze. Con l’introduzione delle nuove tecnologie, si sta tentando anche di limitare le brusche ed improvvise variazioni glicemiche, anch’esse correlate al meccanismo di glicosilazione e, di conseguenza, del danno micro e macrovascolare secondario all’inadeguato controllo metabolico. Ulteriore vantaggio è la prevenzione e la miglior gestione di una complicanza acuta, ma pericolosa e temuta: l’ipoglicemia. Potersi avvalere di un dispositivo che eroga insulina in continuo, mette al riparo dal rischio di un eccesso di insulina “basale”, perché è sufficiente sospenderne l’erogazione una volta ripristinata la glicemia corretta. Gli strumenti di ultima generazione permettono anche la comunicazione via bluetooth tra sensore e pompa a microinfusione, la cui erogazione può essere sospesa in automatico qualora dal sensore si registri un trend di glicemia in rapida diminuzione (SAP: “Sensor augmented pump”), particolarmente utile nelle ore notturne.

La continua evoluzione tecnologica e la possibilità che i sensori offrono di monitorare, anche a distanza e ad opera di terze persone (genitore, equipe diabetologica, etc.), ha permesso di incrementare le aspettative, imponendosi l’ulteriore obiettivo di mantenere il ritmo circadiano dell’andamento glicemico il più a lungo possibile entro valori definiti (cosiddetto TIR, “time in range”, gold standard terapeutico). Il TIR viene raggiunto anche grazie alla possibilità di infusione insulinica modulabile attraverso specifiche funzioni del microinfusore: possono infatti essere erogati boli “standard”, boli a “onda doppia” o a “onda quadra” (con erogazione dilazionata nel tempo per coprire pasti contenenti alto contenuto in grassi o con alimenti a lento assorbimento), boli “wizard” (suggeriti dal microinfusore sulla base del quantitativo di carboidrati che verranno assunti, della sensibilità all’insulina calcolata nei vari momenti della giornata, dell’insulina residua erogata e della glicemia di partenza).

In fase di sperimentazione clinica ci sono anche dispositivi integrati pompa-sensore che calcolano automaticamente, attraverso algoritmi, il quantitativo di insulina da somministrare (“pancreas artificiale”), ed altri, ancora più evoluti, dotati di 2 pompe a microinfusione, per insulina e glucagone (pancreas “bionico”), in grado di mimare quanto avviene fisiologicamente.

In attesa di nuove e definitive terapie, come ad esempio il trapianto di Beta cellule contestuale ad una immunosoppressione “mirata” e rivolta a spegnere selettivamente la risposta autoimmune diretta contro il pancreas, il nostro compito è quello di aiutare il bambino e la sua famiglia a gestire correttamente la patologia. L’approccio diventa “integrato”, perché il paziente viene inserito al centro di un sistema di caregiver che si occupano anche di formazione (conta dei carboidrati, utilizzo delle tecnologie), educazione terapeutica, miglioramento dell’autonomia, inserimento scolastico, valutazione psicologica della qualità di vita, transizione all’età adulta.

A cura di Vito Romanelli, Area ambiente e salute FIMP 

 

I cambiamenti climatici costringono intere popolazioni ad abbandonare il proprio territorio per migrare verso altre regioni, nella speranza di sfuggire alla fame e alla sete. Contemporaneamente in aree più fortunate del pianeta ci si confronta con il problema opposto, e cioè l’eccessiva l’abbondanza di cibo, che oltre a favorire lo sviluppo di malattie come obesità, malattie cardiovascolari e diabete 2, favorisce lo spreco alimentare.

Per spreco alimentare, secondo gli esperti del settore, si intende la perdita di di una parte del cibo destinata al consumo umano.

Recenti stime indicano che in un anno va perduto il 30% del cibo prodotto per uso umano.

Tale perdita oltre che per il mancato consumo, può verificarsi per svariate cause, e ciò può accadere sia durante la produzione agricola e la successiva lavorazione, sia durante la conservazione e la vendita.

Nei paesi in via di sviluppo, lo spreco alimentare dipende soprattutto da inadeguate modalità di preparazione o di conservazione, mentre è quasi nullo lo spreco domestico, come è facile immaginare dati i bassi livelli di reddito delle famiglie.

Secondo la F.A.O. nei paesi ricchi si arriva addirittura a sprecare circa 100 kg di cibo all’anno in media per persona, contro i circa 10 kg dei paesi poveri.

I riflessi di questo fenomeno si rivela sono particolarmente gravi, considerando il fatto che tutto il cibo sprecato basterebbe a sfamare ben due miliardi di persone al mondo.

Il problema è di grande rilievo anche a causa dell’impatto ambientale che esso determina, se si considera la quantità considerevole di acqua, di terra e di energie utilizzate per la produzione del cibo che viene successivamente gettato.

I rifiuti alimentari non utilizzati finiscono in discarica, dove inevitabilmente determinano fenomeni di digestione anaerobica, con produzione di metano e conseguente contributo all’effetto serra .

Secondo gli esperti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), gruppo di lavoro creato nel 1988 dalle Nazioni Unite, orientativamente negli ultimi dieci anni lo spreco alimentare risulta responsabile del 10% circa delle emissioni di gas serra, determinando una inutile perdita di biodiversità.

Secondo la FAO il quantitativo di anidride carbonica prodotto e immesso nella atmosfera, rapportabile allo spreco alimentare, sarebbe pari a oltre tre miliardi di tonnellate.

Le soluzioni praticabili per fronteggiare questo problema sono numerose e interessano i singoli cittadini, le comunità, le aziende di produzioni e le catene di distribuzione del cibo. La prima da mettere in atto dovrebbe essere una diffusa e intensa opera di sensibilizzazione dei consumatori, in particolare nei paesi industrializzati, che li renda consapevoli dell’entità del problema e dei suoi esiti negativi, e li porti ad adottare comportamenti più attenti e meno propensi allo spreco di cibo. Come comprare solo ciò che manca in casa e si è sicuri di consumare, riscoprire l’arte della cucina di recupero utilizzando gli avanzi, contenere la dimensione delle porzioni di cibo.

Noi pediatri di famiglia possiamo giocare un ruolo fondamentale nell’opera di sensibilizzazione giovandoci del nostro ruolo di educatori alle buone pratiche di salute.

A livello produttivo va riservata una particolare attenzione ai vari passaggi della catena di produzione.

Nei paesi in via di sviluppo, andrebbero costruiti moderni impianti di stoccaggio e garantite catene di raffreddamento adeguate ai carichi di produzione e alle normative ufficiali.

Le catene di distribuzione dovrebbero fare in modo di smaltire il cibo che potrebbe andare in scadenza finendo poi per essere buttato, dando sostegno alle organizzazioni che si occupano del recupero dei prodotti alimentari non più vendibili ma ancora commestibili.

Una volta scaduto per l’uso umano potrebbe essere utilizzato come ottima alternativa alla produzione di mangimi per gli animali secondo quanto previsto dagli orientamenti della Comunità Europea.

A cura di Adima Lamborghini, coordinatore nazionale Area Alimentazione e Nutrizione FIMP

 

Il vomito in corso di gastroenterite acuta rappresenta il maggior fattore di fallimento della terapia reidratante orale e tuttavia l'uso di antiemetici in corso di gastroenterite è oggi ancora un argomento controverso. Nel corso degli anni gli antiemetici disponibili sul mercato italiano sono stati oggetto di note limitative a causa della valutazione rischio/beneficio, dopo le segnalazioni di inaccettabili frequenze di effetti sedativi, allucinazioni, convulsioni o riguardanti il sistema extrapiramidale.

Per il pediatra di famiglia la scarsa possibilità di trattare efficacemente il vomito durante la reidratazione orale, si traduce in pratica nella necessità di ospedalizzare il paziente per iniziare terapia reidratante parenterale. Appare, quindi, interessante la serie di studi che ha seguito l'immissione in commercio di un nuovo farmaco, l'Ondansetron, disponibile anche per somministrazione orale.

L'Ondansetron è un potente e selettivo antagonista dei recettori della serotonina, che, dopo somministrazione orale, raggiunge un picco entro 1-2 ore. Il farmaco è stato ampiamente studiato nella prevenzione della nausea e del vomito indotti da chemioterapia nel bambino e nell'adulto e radioterapia e nel post-operatorio (paziente adulto), dove si è dimostrato essere a basso rischio di indurre eventi avversi in numero significativo, ma l'FDA americana e il Ministero della Salute canadese hanno emanato degli alert sulla possibilità di aritmie fatali (Box1). Molto più frequente è, invece, il rischio di un aumento degli episodi di diarrea, rispetto alla somministrazione di placebo.

Nonostante queste segnalazioni, nel corso degli ultimi 20 anni, ci sono stati molti studi riguardanti l'efficacia nel trattamento del vomito in corso di gastroenterite nel bambino, presi in esame da una revisione Cochrane nel 2012, in cui venivano considerati studi, tutti retrospettivi, condotti nei Dipartimenti di pronto Soccorso soprattutto degli USA. In questi studi l'ondansetron si è dimostrato in grado di ridurre il numero degli episodi di vomito e la necessità di ricorrere alla reidratazione per via endovenosa, rispetto al placebo e agli altri antiemetici (soprattutto metoclopramide). Inoltre, l'ondansetron riduce la necessità di ricovero immediato, ma non il numero dei ricoveri a 72 ore dal trattamento in dose singola, probabilmente per la breve emivita del farmaco.   Le successive revisioni sistematiche hanno dato risultati non conclusivi o discordanti, tanto che sia le linee guida ESPGHAN, ESPID e NICE sono molto vaghe sulle raccomandazioni riguardanti l'utilizzo di questo antiemetico.

STATUS REGOLATORIO

In Italia e negli Stati Europei la somministrazione del farmaco è indicata in età pediatrica, dai 6 mesi, per il trattamento di nausea e vomito indotto da chemioterapia, oppure dal 1 mese, per la prevenzione di nausea e vomito post-operatorio. Pertanto, l'utilizzo del farmaco per il trattamento del vomito da gastroenterite è off-label e necessita, quando se ne ritenga indispensabile l'utilizzo, di adeguato consenso informato. Gli studi finora condotti riguardano il trattamento all'interno di un Dipartimento di Emergenza, dove è possibile lo stretto monitoraggio clinico e, eventualmente strumentale e laboratoristico, data la potenzialità di eventi avversi molto gravi, mentre non ci sono studi effettuati nel contesto delle Cure Primarie, dove l'uso di questo farmaco resta sconsigliato per il profilo di rischio.

BOX 1 – I RISCHI CARDIOLOGICI DELL’ONDANSETRON

L'Ondansetron prolunga l'intervallo QT in modo dose-dipendente e in alcuni casi sono stati riportati casi di Torsione di Punta. Ondansetron pertanto non dovrebbe essere somministrato in pazienti con Sindrome del QT lungo e dovrebbe essere prestata molta cautela nei casi in cui il prolungamento del QT è più probabile, ad esempio alterazioni elettrolitiche, insufficienza cardiaca congestizia, bradiaritmie o concomitante uso di farmaci che agiscono sull'intervallo QT: Le diselettrolitemie (soprattutto ipokaliemia e ipomagnesiemia) dovrebbero essere valutate e corrette prima della somministrazione di ondansetron. Le attuali evidenze tuttavia non supportano la necessità di eseguire in tutti i casi un Elettrocardiogramma o una valutazione degli elettroliti prima della somministrazione di una singola dose orale del farmaco, ma raccomandano un attento monitoraggio dopo la sua assunzione.

Bibliografia

- Guarino A, Ashkenazi S, Gendrel D, Lo Vecchio A, Shamir R, Szajewska H European society for pediatric

gastroenterology, hepatology, and nutrition/european society for pediatric infectious diseases

Gastroenteritis Management in Developed Countries evidence-based guidelines for the management of acute gastroenteritis in children in europe: update 2014. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2014, 59:132–152.

- Management of vomiting in children and young people with gastroenteritis: ondansetron. Evidence summary [ESUOM 34] Published date: October 2014.  https://www.nice.org.uk/advie/esuom34c/chapter/Key-points-from-the-evidence ( verificato 7/10/2019)

- Danewa ASShah DBatra PBhattacharya SKGupta P.Oral Ondansetron in Management of Dehydrating Diarrhea with Vomiting in Children Aged 3 Months to 5 Years: A Randomized Controlled Trial. J Pediatr. 2016 Feb;169:105-9.

               

- Tomasik E, Ziólkowska E, Kolodziej M, Szajewska H. Systematic review with meta-analysis: Ondansetron for vomiting in children with acute gastroenteritis. Aliment Pharmacol Ther. 2016;44:438-46.

- Marchetti F, Bonati M, Maestro A, Zanon D, Rovere F, Arrighini A, et al. (2016) Oral Ondansetron versus Domperidone for Acute Gastroenteritis in Pediatric Emergency Departments: Multicenter Double Blind Randomized Controlled Trial. PLoS ONE 11(11):e0165441. doi:10.1371/journal.pone.

Lunedì, 16 Settembre 2019 10:05

RECENSIONE DEL MESE

A cura di Fabrizio Fusco, pediatra di famiglia, Valdagno

 

Prove di felicità.

25 idee riconosciute dalla scienza per vivere con gioia

Eliana Liotta

La nave di Teseo, 2019. 283 pagine. 18 euro

Gramellini ha scritto nel suo blog di aver chiesto ad un amico interista di immaginare la felicità. E questi ha risposto: “Cristiano Ronaldo che sbaglia il rigore decisivo nella finale di Champions”. I libri ed il web sono pieni di definizioni sulla felicità, da Epicuro a Seneca fino ad Oscar Wilde. Forse le più notevoli sono quella di James Hillman, psicanalista junghiano e ed Albano Carrisi, il nostro Al Bano nazionale.

Per Hillman  la felicità consiste nell’appagare il proprio “demone”, cioè il talento unico ed irripetibile che viene consegnato a ciascuno di noi alla nascita: scrivere poesie, amare gli animali, cucinare, suonare…Non per niente in greco antico felicità si dice eudaimonia: far star bene il proprio demone. Per Al Bano e Romina la felicità cantata nella loro canzone è “tenersi per mano”. Chiunque abbia mani da tenere è considerato una persona felice, mentre chi ne è sprovvisto è triste. Ed è quanto conferma il professor Waldinger, di Harvard, che dirige una ricerca iniziata nel 1938 con una coorte di 724 persone seguite per 80 anni. Quali le conclusioni? Che a rendere felici non sono la ricchezza e la fama ma la qualità delle relazioni umane: chi ha coltivato buone relazioni con la famiglia, gli amici e la propria comunità è vissuto molto meglio di chi invece ha praticato la solitudine o ha frequentato le persone sbagliate, che atrofizzano il cuore, peggiorano la salute e fanno arrugginire precocemente il cervello.

Scrive Eliana Liotta che “…meritiamo di essere felici. Si dice che siamo nati per soffrire, ma la storia dell’uomo avanza alla ricerca della felicità… Questo libro racconta 25 idee per assaporare la vita. Sono prove di felicità, dimostrazioni che provengono dai laboratori dei neuroscienziati e dalle ricerche su ampi campioni di individui”.

Eliana Liotta, giornalista professionista , scrittrice e divulgatrice scientifica, pubblica questo saggio sulla felicità in collaborazione con i medici ed i ricercatori del San Raffaele di Milano. Anche nei saggi precedenti, sulla buona alimentazione (“la dieta smartfood”) e sul buon invecchiamento (“l’età non è uguale per tutti”) la sua esperienza di divulgatrice era stata supportata da medici e ricercatori di vaglia, diversamente da qunato troviamo di solito in libreria sull’argomento. Potete seguire la Liotta ogni settimana sui due supplementi del Corriere della sera, “Io donna” e “Corriere salute”, oltre che sul suo blog personale, “il bene che mi voglio”.

Quali sono queste 25 idee del libro? Si va dal fare del bene all’amicizia e all’amore; dall’imparare a sorridere (“ci vogliono 72 muscoli per fare il broncio e solo 12 per sorridere”) e a dire grazie, al conseguimento di corretti stili di vita: dormire ed alimentarsi bene, fare una vita attiva, essere curiosi…beh, le altre idee le apprenderete leggendo il libro.

Lunedì, 16 Settembre 2019 09:39

LA VALUTAZIONE NEUROMOTORIA DEL BAMBINO


A cura di Carmelo Rachele, pediatra di famiglia, Latina 

 

Il Pediatra ha il “privilegio” di conoscere il bambino e la sua famiglia sin dai primi giorni di vita. Si trova nella condizione più favorevole per osservare le prime fasi della sua crescita e sostenere i comportamenti dei genitori utili a promuovere la qualità dello sviluppo psicomotorio, inteso come un processo unitario ove aspetti motori, sensoriali, comportamentali, cognitivi, e psicorelazionali sono inscindibilmente legati ed interdipendenti.

Esplorazione, conoscenza, apprendimento, specie nel primo anno di vita, sono legati all’utilizzo del “repertorio motorio” il cui sviluppo avviene intorno al proprio asse corporeo in modo simmetrico ed integrato.

Lo sviluppo delle competenze motorie nel corso dei primi mesi di vita è correlato alla necessità del bambino di superare la forza di gravità, sollevandosi dalla posizione orizzontale a quella verticale e rimanendo stabilmente in piedi attraverso la ricerca di adeguate strategie motorie che gli consentiranno di deambulare autonomamente senza perdere equilibrio o cadere per terra.

Un’efficace programma di promozione dello sviluppo neuromotorio deve garantire, a ciascun bambino, uno spazio adeguato per consentire la massima espressione di libertà dei movimenti, rimuovendo, contestualmente, qualsiasi ostacolo possa interferire con tale bisogno.

Nell’osservazione del neonato è frequente il riscontro di una fisiologica instabilità posturo-motoria che lascia il posto, nelle settimane successive, ad un allineamento del tronco e del capo, condizione che rende possibile al bambino un’esplorazione globale dell’ambiente circostante, favorendo uno sviluppo pieno ed armonico.

Nel corso dei mesi successivi, il bambino inizierà a sperimentare strategie motorie che gli permetteranno di raggiungere importanti traguardi in relazione all’autonomia del movimento nello spazio intorno a lui.

Le nuove competenze motorie e le posture prevalenti nei vari momenti di gioco, consentiranno, al bambino, di utilizzare le mani per una più frequente ed efficace manipolazione, arricchendo, contestualmente, gli apprendimenti sensoriali e cognitivi.

Raggiungere la stazione eretta e deambulare autonomamente, rappresentano, sul piano motorio, una conquista di valore assoluto che consente al bambino di rafforzare la propria autostima e di migliorare ulteriormente le competenze cognitive e psicorelazionali.

Arrampicarsi, sollevarsi da terra e spostarsi lateralmente, sorreggendosi sul divano e tra i mobili di casa, rappresentano esercizi motori che il bambino utilizza nella routine giornaliera e che bisogna promuovere attivamente prima che raggiunga l’abilità della deambulazione autonoma e si lanci, senza sostegni, a provare i primi passi. Con la deambulazione autonoma, il bambino è in grado di esplorare e manipolare tutto ciò che lo circonda, elaborando esperienze creative e stimolanti capaci di aumentare la consapevolezza del proprio se corporeo e psicologico. 

La valutazione neuro-evolutiva, attraverso l’osservazione longitudinale nell’ambito dei Bilanci di Salute, rappresenta lo strumento che con maggiore efficace può permettere di cogliere, tempestivamente, anche quelle condizioni cliniche che nei primi mesi di vita non presentano ancora quadri sintomatologici rilevanti.

È rilevante acquisire sempre maggiore consapevolezza che molti disturbi del neurosviluppo possono esordire, già in fase neonatale, con un ritardo di acquisizione delle competenze neuromotorie. È altresì vero che, alcuni sintomi possono essere difficili da cogliere se non attivamente ricercati in determinate età filtro. Le caratteristiche di alcuni di questi segnali, sebbene possano dare l’idea di un significato non chiaramente patologico, meritano, comunque, grande attenzione clinica in quanto spie, in molti casi, di patologie gravi ad esordio ed evoluzione insidiosa.

Per tale motivo, è necessario che il Pediatra ridefinisca in modo sistematico e organizzato l’esecuzione di un corretto esame neuromotorio così da cogliere, nel corso dell’intero arco dell’età pediatrica, tutti gli elementi utili per sviluppare una valutazione precisa dello sviluppo del bambino.

Un accurato esame neurologico dovrà tener conto delle competenze attese e di quelle acquisite nei vari momenti evolutivi del bambino.

Con la semeiotica clinica si potranno ricercare, con efficacia, segni e sintomi (ipo/ipertonia, deficit di forza muscolare, simmetria/asimmetria, anomalie delle motricità), spesso espressione di patologie neuromotorie. Verificare le competenze raggiunte nelle varie finestre evolutive (postura in prono e supino, passaggio da seduto ad eretto, deambulazione autonoma) è condizione essenziale per valutare le traiettorie dell’asse di sviluppo motorio, intercettare precocemente condizioni di rischio ed avviare percorsi diagnostico-assistenziale tempestivi, mirati a ridurre, tra l’altro, le complicanze evolutive.

Non va dimenticato, infine, che l’occasione dei Bilanci di Salute rappresenta il contesto privilegiato per attivare percorsi di abilitazione del genitore all’osservazione del proprio bambino, di anticipazione delle tappe neurovolutive e, quindi, di predisposizione di ogni condizione facilitante l’acquisizione delle sue competenze.

Potete trovare una valida esemplificazione di questa impostazione clinica e assistenziale nella FAD realizzata da FIMP per il progetto PETER PaN sull’approccio del pediatra di famiglia alle malattie neuro-muscolari

 

 A cura di Massimo Landi, Pediatra di Famiglia ASL città di Torino (Collaboratore di Ricerca Allergologia e Pneumologia Pediatrica IBIM - CNR Palermo)

 

La medicina di precisione è un argomento ricorrente negli ultimi tempi, venendo citata ed applicata a più aspetti della medicina.

Nell’ambito delle riniti uno degli aspetti diagnostici più recenti è rappresentato dallo studio della citologia nasale.

Pertanto l’occasione di scrivere dei due argomenti insieme ci viene fornita dalla recente pubblicazione di linee guida sulle riniti sia allergiche che non allergiche

I due documenti, peraltro, sono rivolti alla popolazione adulta; per trovare una classificazione pediatrica dobbiamo tornare al 2013.

Tutti i documenti dividono ovviamente le forme allergiche da quelle non allergiche, sulla base della positività o meno ai test diagnostici. Una certa incongruenza si ritrova nel posizionamento della rinite locale allergica, argomento peraltro controverso, che viene posizionata talvolta nelle forme allergiche, talvolta in quelle non allergiche e talvolta associata o identificata con la Nares.

Risulta pertanto evidente che gli aspetti più complicati dal punto di vista della classificazione e, conseguentemente della terapia, sono quelli delle forme non allergiche.

La NAR infatti rappresenta un aspetto epidemiologico molto importante con un notevole impatto clinico : fino al 50% dei pazienti che riferisce sintomi nasali cronici , compreso prurito, starnutazione, rinorrea acquosa e / o congestione nasale, può avere questo disturbo. Nelle recenti classificazioni fino al 50% di questi pazienti viene etichettato come idiopatico con una diagnosi sulla base di criteri di esclusione. Inoltre, come precedentemente scritto, si tende a confondere un aspetto infiammatorio ( Rinite non allergica eosinofila NARES) con un aspetto patogenetico ( IgE locali Rinite locale allergica LAR). La riflessione viene spontanea: non possiamo etichettare una Nares, che per definizione ha un infiltrato eosinofilico, senza aver “trovato” l’eosinofilo e la presenza di IgE locali evidenzia solo un marker, così come un prick test. E’ ovviamente possibile avere una rinite locale, sintomatica, con conseguente infiltrato eosinofilico; se consideriamo la facilità e la non invasività della citologia nasale, come abbiamo avuto modo di ribadire più volte, sulle pagine di questa rivista, ne risulta che è più probabile pensare ad una LAR partendo dal riscontro degli eosinofili che viceversa. Ma, al di là delle “pulsioni” classificative quello che deve essere rimarcato, in particolare nell’ottica della Medicina di Precisione è l’aspetto della ricerca dell’infiltrato infiammatorio: la citologia nasale rappresenta certamente un “ tool” importante per evidenziarlo (8). Alla più nota e vecchia Nares si sono aggiunte in tempi più recenti la Naresma (eosinofilia mastocitaria, la Narne (neutrofila) e Narma (mastocitaria).

La patogenesi di queste forme rimane di non facile inquadramento patogenetico, ma è un dato infiammatorio oggettivo su cui riflettere che può modificare la nostra strategia terapeutica.

D’altro canto nella più “nobile” e studiata asma, la ricerca di marker infiammatori, FENO su tutti, è un obiettivo della ricerca, e l’asma neutrofilica rappresenta una delle sfide più complicate.

Dobbiamo inoltre considerare l’evoluzione di queste forme di rinite: il pediatra ha un orizzonte temporale definito in parte dall’età ed in parte dalle istituzioni, ma è un dato di fatto che l’età in cui molto inizia è la nostra. Recenti pubblicazioni evidenziano le origini fetali della BPCO: le forme croniche del naso sono le rinosinusiti con e senza poliposi, argomento complesso ed affascinante in cui lo studio citologico rappresenta un aspetto importante per l’iter diagnostico terapeutico.

Una delle critiche che viene fatta alla citologia nasale è quella di un difetto di standardizzazione: recentemente sono stati pubblicati i “landmarks” della metodica in cui si definiscono il campionamento, i tempi, la colorazione e la lettura e l’interpretazione.

In conclusione, la citologia nasale rappresenta una metodologia standardizzata, non invasiva e di basso costo in grado di definire un fenotipo/endotipo infiammatorio del paziente con rinite consentendo, non solo, una più mirata terapia ma fornendo anche un aspetto prognostico.

Per chi volesse approfondire l’argomento si suggeriscono alcune voci bibliografiche

1)Hellings PW, Klimek L, Cingi C et al. Non-allergic rhinitis: Position paper of the European Academy of Allergy and Clinical   Immunology.

2)     Scadding GK, Kariyawasam HH, Scadding G et al. BSACI guideline for the diagnosis and management of allergic and

             non - allergic rhinitis (Revised Edition 2017; First edition 2007 - Clin Exp Allergy. 2017 Jul;47(7):856-889.

3)   Roberts G1, Xatzipsalti M, Borrego LM et al -.Paediatric rhinitis: position paper of the European Academy of Allergy  

       and Clinical Immunology - Allergy. 2013 Sep;68(9):1102-16

4)   Papadopoulos NG, Bernstein JA, Demoly P et al. Phenotypes and endotypes of rhinitis and their impact on management:

       a PRACTALL report. Allergy. 2015 May;70(5):474-94

5)   Gelardi M , Landi M, Ciprandi G. Nasal cytology: a Precision Medicine tool in clinical practice.

       Clin Exp Allergy. 2018 Jan;48(1):96-97

6)   Heffler E, Landi M, Gelardi M al Nasal cytology: Methodology with application to clinical practice and research.

       Clin Exp Allergy. 2018 Sep;48(9):1092-1106

7)   Gelardi M, Iannuzzi L, De-Giosa M, et al. Non-surgical management of chronic rhinosinusitis with nasal polyps based on

       clinical   cytological grading: a precision medicinebased   approach. Acta Otorhinolaryngol Ital 2017;37(1):38-45.

A cura di Michele Mencacci, pediatra di famiglia Perugia

La Letteratura Scientifica riporta un continuo incremento dell’incidenza di varie Patologie Autoimmuni, tra cui il Diabete Tipo 1: parallelamente a questo dato, le Cronache ci insegnano che non è sempre così scontata la Diagnosi precoce, in quanto l’esordio, a qualsiasi età, può essere particolarmente insidioso (1).

 Ai classici sintomi (poliuria con conseguente polidipsia, disidratazione e calo ponderale), si possono associare, talora precedendoli, altri sintomi meno specifici, quali:

  • Malessere
  • Dolori addominali
  • Vomito e sintomatologia gastroenterica – sintomatologia simil influenzale
  • Infezioni cutanee
  • Formicolii delle estremità

 Da tener presente che nei soggetti con Auto immunità già documentata, il rischio di Diabete Tipo 1 è ulteriormente aumentato.

Classico è l’esempio dell’associazione tra Diabete e Celiachia, che condividono una predisposizione allelica HLA (DQ2 e DQ8, che sono in forte linkage disequilibrium rispettivamente con DR3 e DR4): secondo alcuni Autori il ritardo della diagnosi, con conseguente prolungata esposizione al Glutine, e la scarsa adesione alla dieta gluten free nel paziente Celiaco, potrebbe predisporre al reclutamento di cloni di linfociti autoreattivi, in grado di migrare dalla sottomucosa intestinale al pancreas, innescando così la risposta autoimmune che porterà alla distruzione delle Cellule Beta. Tale meccanismo viene osservato anche relativamente agli Auto Ab anti tiroide nell’insorgenza della T. di Hashimoto (2, 3, 4).

 L’importanza del Self-Help, un caso clinico:

Tenendo a mente questa premessa, è sempre importante la ricerca di una situazione di iperglicemia (documentabile tramite stick su goccia di sangue) o di glicosuria/chetonuria (evidenziabili attraverso un semplice multistick urine), nei quadri di malessere non giustificato da altra condizione clinica.

Mai dimenticherò il caso di un bimbo di 18 mesi, che non vedevo da qualche tempo, che era stato condotto presso il mio Ambulatorio per una dermatite da pannolino complicata da una importante candidiasi superficiale. Ho aspettato che urinasse lasciandolo in Sala d’aspetto per circa un’ora, inserendo del cotone idrofilo nel pannolino per il prelievo del campione (non garantisce la sterilità e non è utilizzabile per una urinocoltura, ma con questo metodo mi trovo solitamente facilitato nell’effettuazione del multistick). Dato che in quel lasso di tempo non aveva urinato ho rimandato a casa i Genitori, dicendo comunque di effettuare loro stessi lo stick ed inviarmi la fotografia tramite mail. Con mio stupore la Dermatite da Pannolino, associata solo ad una discreta disidratazione, era l’unico sintomo di esordio di una Chetoacidosi diabetica (DKA), manifestatasi poche ore dopo con l’insorgenza di stato soporoso mentre il piccolo veniva trasportato in Ospedale (Glicemia intorno a 600 mg/dL).

Interpretazione dei risultati dello stick: La chetonuria da sola, in assenza di iperglicemia, ci potrà orientare verso una diagnosi di chetosi in corso di gastroenterite. Glicosuria associata a chetonuria va considerata sempre come un esordio di DM tipo 1 ed inviata immediatamente all’attenzione dei Colleghi Ospedalieri per gli accertamenti del caso.

La situazione di una glicosuria isolata, in assenza di chetonuria, è invece una condizione più tipica di situazioni in cui si attivano ormoni controinsulari (adrenalina, utilizzo di steroidi sistemici) o del Diabete Tipo 2. In quest’ultimo caso, alla iperglicemia si associa una concentrazione di glucosio nell’epatocita in genere normale. Questo perché, almeno nelle fasi iniziali, è normale o addirittura aumentata la produzione di insulina, con una ridotta sensibilità recettoriale periferica (tirosin chinasi presente nell’epatocita, nel tessuto adiposo e nel muscolo striato) o con alterazione della trasduzione del segnale ad opera dei secondi messaggeri intracellulari: ciò in genere non comporta riduzione della concentrazione di glucosio nella cellula epatica tale da innescare, conseguentemente, la via metabolica chetogenetica, e la conseguente chetonuria.

Anche il Diabete Tipo 2, sempre più frequente in Età Evolutiva a causa di stili di vita sedentari ed alimentazione scorretta, è spesso subdolo e sotto-diagnosticato, e va ricercato, soprattutto in quelle situazioni di eccesso ponderale, familiarità, presenza di alterazioni cutanee (Es. Acanthosis Nigricans).

 Conclusioni:

Le nuove prospettive terapeutiche, sia relative ai meccanismi che “accendono” l’autoimmunità (5), che all’utilizzo di nuove tecnologie (pancreas artificiale, pancreas “bionico”) o di Cellule staminali per la cura, ci impongono di identificare il più precocemente possibile la condizione di esordio di T1DM, per evitare i rischi clinici connessi allo sviluppo di DKA, e per fare in modo che il paziente intraprenda il percorso di cure con una “riserva” di Cellule Beta più ampia possibile, associata ad un aumento della durata della cosiddetta “luna di miele”.

BIBLIOGRAFIA:

1) Miriam E. Tucker - Medscape Medical News – “Type 1 Diabetes Often Misdiagnosed in Adults and Children”

2) Ventura A1, Magazzù G, Greco L. - Gastroenterology. 1999 Aug;117(2):297-303. “Duration of exposure to gluten and risk for autoimmune disorders in patients with celiac disease. SIGEP Study Group for Autoimmune Disorders in Celiac Disease”.

3) Asma Ouaka-Kchaou, Rym Ennaifer, Hela Elloumi, Dalila Gargouri, Rania Hefaiedh, Asma Kochlef, Malika Romani, Afef Kilani, Jamel Kharrat, and Abdeljabbar Ghorbel - Therap Adv Gastroenterol. 2008 Nov; 1(3): 169–172. – “Autoimmune Diseases in Coeliac Disease: Effect of Gluten Exposure”

4) Christophe Cellier; Sheila Viola; Jean–Frederic Colombel; Laurent Michaud; Jacques Sarles; Jean–Pierre Hugot; Jean–Louis Ginies; Alain Dabadie; Olivier Mouterde; Matthieu Allez; Isabelle Nion Larmurier : The Groupe D'Etude et de Recherche Sur la Maladie Coeliaque - Clinical Gastroenterology and Hepatology, Volume 6, Issue 7, July 2008, Pages 753-758 – “Incidence of Autoimmune Diseases in Celiac Disease: Protective Effect of the Gluten-Free Diet”

5) Sergio Gonzalez-Duque, Marie Eliane Azoury, Maikel L. Colli, Georgia Afonso, Jean-Valery Turatsinze, Laura Nigi, Ana Ines Lalanne, Guido Sebastiani, Alexia Carré, Sheena Pinto, Slobodan Culina, Noémie Corcos, Marco Bugliani, Piero Marchetti, Mathieu Armanet, Marc Diedisheim, Bruno Kyewski, Lars M. Steinmetz, Søren Buus, Sylvaine You, Daniele Dubois-Laforgue, Etienne Larger, Jean-Paul Beressi, Graziella Bruno, Francesco Dotta, Raphael Scharfmann, Decio L. Eizirik, Yann Verdier, Joelle Vinh, Roberto Mallone. - Cell Metabolism, 2018 – “ “Conventional and neo-antigenic peptides presented by cells are targeted by circulating naïve CD8+ T cells in type 1 diabetic and healthy donors”