FIMP NEWS

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Roma, 17 giugno 2019 - Non solo fumo di sigaretta, grave eccesso di peso, età e alcune patologie. Anche il consumo di marijuana può condizionare la fertilità sia maschile che femminile. Tuttavia questo tema c'è scarsa informazione e pochi studi. E’ questo il messaggio pubblicato sul Canadian Medical Association Journal (Cmaj), che segnala come "sarebbero necessarie ulteriori ricerche". Innanzitutto, chiariscono gli autori della Western University, in Ontario, "tanto i medici che gli utilizzatori dovrebbero sapere che il principio attivo della marijuana, il tetraidrocannabinolo (THC), agisce sui recettori presenti nell'ipotalamo, nell'ipofisi e negli organi riproduttivi interni, sia nei maschi che nelle femmine". Tra le, ancora poche, evidenze scientifiche attualmente disponibili in materia, uno studio apparso Sull'American Journal of Emiedmiology ha dimostrato, ad esempio, che fumare marijuana più di una volta alla settimana è associato ad una riduzione del 29% del numero di spermatozoi presenti nel liquido seminale. I problemi, inoltre, sono anche per 'lei'. La marijuana, infatti, può ritardare o prevenire l'ovulazione: in uno studio pubblicato Journal of Women's Health, l'ovulazione è risultata ritardata nelle donne che avevano utilizzato marijuana più di 3 volte nei 3 mesi precedenti; inoltre, il 43% dei cicli senza ovulazione confermati si è verificato in fumatrici di marijuana, anche se queste rappresentavano solo il 15% della popolazione studiata. In generale, infine, secondo quanto dimostra un articolo pubblicato su Fertility and Sterility che ha analizzato quasi 2000 persone, il consumo di cannabis può "influenzare la capacità di concepire in coppie poco fertili, ma non sembra influenzare le coppie senza problemi di fertilità".

Roma, 18 giugno 2019 - "Le temperature di questi giorni, con punte che superano i 30 gradi, rischiano di compromettere la salute dei piu' piccoli. Per questo abbiamo scelto di rivolgerci alle mamme e ai papa' per sensibilizzarli e metterli in guardia". E’ quanto sostiene Antonio D'Avino, vice presidente nazionale della Federazione Italiana dei Medici Pediatri (FIMP), preoccupato del repentino aumento delle temperature di queste prime settimane di giugno e di quanto previsto dagli esperti meteo per luglio. "Il meccanismo e' legato in gran parte alla sudorazione, i piu' piccoli sudano di piu' e non riescono a disperdere efficacemente il calore - afferma D’Avino -. I bimbi che ancora non hanno iniziato a parlare, al di la' del pianto, non sono in grado di far capire al genitore quali siano le sue esigenze, ecco perche' e' importante farli bere". E poi ci sono i rischi legati all'aria condizionata e alle uscite in orari inadeguati. I pediatri chiariscono che non e' un male rinfrescare gli ambienti, ma e' cruciale evitare di abbassare troppo la temperatura. L'ideale e' di tenere una temperatura che non sia piu' di 3 gradi in meno rispetto alla temperatura esterna e chiaramente evitare brusche escursioni termiche, tra il caldo e il freddo e viceversa. Nelle ore centrali della giornata il bambino deve essere tenuto a casa o comunque in un luogo fresco. Se lo si porta in spiaggia si deve evitare assolutamente la fascia tra le 11 e le 17. "Importante - conclude D'Avino - prestare grande attenzione all'alimentazione: meglio scegliere tanta frutta e verdura, che contengono un'alta percentuale di liquidi e di sali minerali, che si perdono con la sudorazione. Pochi grassi, che servono all'organismo per produrre calore del quale, chiaramente, non c'e' alcun bisogno. Imperativo avere sempre con se' una bottiglietta d'acqua o il biberon, per far bere il bambino ogni volta che ha sete. Se e' ancora allattato al seno e' bene ridurre il tempo tra una poppata e l'altra".

11 giugno 2019 - Fondazione GIMBE, Roma

La Fondazione GIMBE ha presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN): «Davanti al lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia – esordisce il Presidente Nino Cartabellotta – negli ultimi dieci anni nessun Esecutivo ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, ignorando che la perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, oltre a compromettere la salute delle persone e a ledere un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, porterà ad un disastro sociale ed economico senza precedenti».
Dal Rapporto GIMBE emerge la mancanza di un disegno politico di lungo termine per “preservare e potenziare” la sanità pubblica – già invocato dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno – oltre che la scarsa attitudine degli attori della sanità a rinunciare ai privilegi acquisiti per tutelare il bene comune e soprattutto, constata amaramente il Presidente, che «cittadini e pazienti, ignorando il valore inestimabile del SSN di cui sono “azionisti di maggioranza” non sono mai scesi in piazza per rivendicare la tutela della sanità pubblica e costringere la politica a tirarla fuori dal dimenticatoio».
«L’Italia – affonda il Presidente – siede nel G7 tra le potenze economiche del mondo, ma la politica ha fatto precipitare il finanziamento pubblico per la sanità ai livelli dei paesi dell’Europa orientale, considerando la sanità come un mero capitolo di spesa pubblica da saccheggiare e non una leva di sviluppo economico da sostenere, visto che assorbe solo il 6,6% del PIL e l’intera filiera della salute ne produce circa l’11%. In tal senso, mentre il mondo professionale e i pazienti aspirano alle grandi (e costose) conquiste della scienza e l’industria investe in questa direzione, l’entità del definanziamento pubblico allontana sempre di più l’accessibilità per tutti alle straordinarie innovazioni farmacologiche e tecnologiche oggi disponibili».
«Peraltro – continua il Presidente – la scarsa attitudine ad investire in sanità va a braccetto con la facilità a disinvestire, visto che dal 2010 tutti i Governi hanno ridotto la spesa sanitaria per fronteggiare le emergenze finanziarie, fiduciosi che il SSN fornirà sempre risultati eccellenti e consapevoli che qualcun altro raccoglierà i cocci». Ma al tempo stesso, con l’obiettivo (fallito) di aumentare il consenso elettorale, hanno puntato sui sussidi individuali (bonus 80 euro, reddito di cittadinanza, quota 100), indebolendo di fatto le tutele pubbliche in sanità ed aumentando la spesa delle famiglie.
La Fondazione GIMBE ha presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN): «Davanti al lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia – esordisce il Presidente Nino Cartabellotta – negli ultimi dieci anni nessun Esecutivo ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, ignorando che la perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, oltre a compromettere la salute delle persone e a ledere un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, porterà ad un disastro sociale ed economico senza precedenti».
Dal Rapporto GIMBE emerge la mancanza di un disegno politico di lungo termine per “preservare e potenziare” la sanità pubblica – già invocato dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno – oltre che la scarsa attitudine degli attori della sanità a rinunciare ai privilegi acquisiti per tutelare il bene comune e soprattutto, constata amaramente il Presidente, che «cittadini e pazienti, ignorando il valore inestimabile del SSN di cui sono “azionisti di maggioranza” non sono mai scesi in piazza per rivendicare la tutela della sanità pubblica e costringere la politica a tirarla fuori dal dimenticatoio».
«L’Italia – affonda il Presidente – siede nel G7 tra le potenze economiche del mondo, ma la politica ha fatto precipitare il finanziamento pubblico per la sanità ai livelli dei paesi dell’Europa orientale, considerando la sanità come un mero capitolo di spesa pubblica da saccheggiare e non una leva di sviluppo economico da sostenere, visto che assorbe solo il 6,6% del PIL e l’intera filiera della salute ne produce circa l’11%. In tal senso, mentre il mondo professionale e i pazienti aspirano alle grandi (e costose) conquiste della scienza e l’industria investe in questa direzione, l’entità del definanziamento pubblico allontana sempre di più l’accessibilità per tutti alle straordinarie innovazioni farmacologiche e tecnologiche oggi disponibili».
«Peraltro – continua il Presidente – la scarsa attitudine ad investire in sanità va a braccetto con la facilità a disinvestire, visto che dal 2010 tutti i Governi hanno ridotto la spesa sanitaria per fronteggiare le emergenze finanziarie, fiduciosi che il SSN fornirà sempre risultati eccellenti e consapevoli che qualcun altro raccoglierà i cocci». Ma al tempo stesso, con l’obiettivo (fallito) di aumentare il consenso elettorale, hanno puntato sui sussidi individuali (bonus 80 euro, reddito di cittadinanza, quota 100), indebolendo di fatto le tutele pubbliche in sanità ed aumentando la spesa delle famiglie.
«Per progettare il SSN del futuro – puntualizza il Presidente – bisogna innanzitutto uscire dal perimetro della spesa sanitaria, perché la spesa sociale di interesse sanitario e la spesa fiscale per detrazioni e deduzioni sono custodite nello stesso “salvadanaio”: quello utilizzato per la salute degli italiani». Secondo le analisi effettuate la spesa per la salute in Italia 2017 ammonta complessivamente a € 204.034 milioni:
• Spesa sanitaria: € 154.920 di cui € 113.131 milioni di spesa sanitaria pubblica e € 41.789 milioni di spesa sanitaria privata. Di questa € 35.989 milioni a carico delle famiglie e € 5.800 milioni intermediati da fondi sanitari/polizze collettive (€ 3.912 milioni), polizze individuali (€ 711 milioni) e da altri enti (€ 1.177 milioni).
• Spesa sociale di interesse sanitario: € 41.888,5 milioni di cui € 32.779,5 milioni di spesa pubblica, in larga misura relative alle provvidenze in denaro erogate dall’INPS, e € 9.109 milioni stimati di spesa delle famiglie.
• Spesa fiscale: € 7.225,5 milioni per deduzioni e detrazioni di imposta dal reddito delle persone fisiche per spese sanitarie (€ 3.864,3 milioni) e € 3.361,2 milioni per contributi versati a fondi sanitari integrativi, cifra ampiamente sottostimata per l’indisponibilità dei dati relativi al welfare aziendale e alle agevolazioni fiscali a favore delle imprese).

«Al di là delle cifre – spiega Cartabellotta – oggi la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite in sanità (value for money): secondo le nostre analisi il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella delle famiglie ed il 50% di quella intermediata non migliorano salute e qualità di vita delle persone». Ecco perché bisogna avviare riforme sanitarie e fiscali, oltre che azioni di governance a tutti i livelli, per ridurre al minimo i fenomeni di sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, aumentando il value for money delle tre forme di spesa sanitaria e pervenendo ad una loro distribuzione ottimale.
Il Rapporto conferma le 4 determinanti della crisi di sostenibilità del SSN: definanziamento pubblico, sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA, sprechi e inefficienze ed espansione del “secondo pilastro”.
• Definanziamento pubblico. «Nel periodo 2010-2019 – precisa Cartabellotta – sono stati sottratti al SSN circa € 37 miliardi e l’incremento complessivo del fabbisogno sanitario nazionale è stato di € 8,8 miliardi, con una media annua dello 0,9% insufficiente anche solo a pareggiare l’inflazione (+ 1,07%)». Nessuna luce in fondo al tunnel visto che il DEF 2019 riduce progressivamente il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022 e le buone intenzioni della Legge di Bilancio 2019 (+€ 8,5 miliardi nel triennio 2019-2021) sono subordinate ad ardite previsioni di crescita e alla stipula, tutta in salita, del Patto per la Salute.
• Sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA. Il Rapporto analizza le criticità per definire e aggiornare gli elenchi delle prestazioni e quelle che condizionano l’omogenea erogazione ed esigibilità dei nuovi LEA : «È ormai inderogabile – sottolinea il Presidente – un consistente “sfoltimento” delle prestazioni basato su evidenze scientifiche e princìpi di costo-efficacia per mettere fine ad un paradosso inaccettabile: in Italia il finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa convive con il “paniere LEA” più ampio, garantito però solo sulla carta». Quale prova tangibile, la mancata pubblicazione del “decreto tariffe” in ostaggio del MEF per mancata copertura finanziaria non permette l’esigibilità dei nuovi LEA su tutto il territorio nazionale, trasformando un grande traguardo politico in una cocente delusione collettiva.
• Sprechi e inefficienze. Il Rapporto aggiorna le stime sull’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica 2017: € 21,59 miliardi erosi da sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (€ 6,48 mld), frodi e abusi (€ 4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (€ 2,16 mld), sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (€ 3,24 mld), inefficienze amministrative (€ 2,37 mld) e inadeguato coordinamento dell’assistenza (€ 2,59 mld).
• Espansione del secondo pilastro. Ruolo e potenzialità dei fondi sanitari integrativi sono compromessi da una normativa frammentata e incompleta, che da un lato ha permesso loro di diventare prevalentemente sostitutivi, con la garanzia di cospicue agevolazioni fiscali, dall’altro consente all’intermediazione assicurativa di gestire i fondi invadendo il mercato della salute con “pacchetti” di prestazioni superflue che alimentano il consumismo sanitario e possono danneggiare la salute. «Continuare a dirottare risorse pubbliche sui fondi sanitari tramite le agevolazioni fiscali e non riuscire a rinnovare contratti e convenzioni e, più in generale ad attuare le inderogabili politiche sul personale – spiega il Presidente – è un chiaro segnale di privatizzazione del SSN che configura un grave atto di omissione politica».

Accanto a queste quattro “patologie”, due “fattori ambientali” peggiorano ulteriormente lo stato di salute del SSN: la non sempre leale collaborazione tra Governo e Regioni, oggi ulteriormente perturbata dalle istanze di regionalismo differenziato, e le irrealistiche aspettative di cittadini e pazienti che da un lato condizionano la domanda di servizi e prestazioni, anche se inutili, dall’altro non accennano a cambiare stili di vita inadeguati che aumentano il rischio di numerose malattie.
Con questa diagnosi, la prognosi per il SSN al 2025 non può che essere infausta: secondo le stime del Rapporto GIMBE per riallineare il SSN a standard degli altri paesi europei e offrire ai cittadini italiani un servizio sanitario di qualità, equo e universalistico sarà necessaria nel 2025 una spesa sanitaria di € 230 miliardi. Visto che la soluzione offerta dal “secondo pilastro” non è che un clamoroso abbaglio collettivo, il rilancio del SSN richiede la convergenza di tutte le forze politiche e un programma di azioni coraggiose e coerenti: dal consistente aumento del finanziamento pubblico alla ridefinizione del perimetro dei LEA, dalla rivalutazione delle agevolazioni fiscali per i fondi sanitari al ripensamento delle modalità con le quali viene erogata la spesa sociale di interesse sanitario al fine di pervenire ad un fabbisogno socio-sanitario nazionale. «Ma soprattutto – spiega il Presidente – bisogna “mettere in sicurezza” le risorse ed evitare le periodiche revisioni al ribasso, ovvero definire sia una soglia minima del rapporto spesa sanitaria/PIL, sia un incremento percentuale annuo del fabbisogno sanitario nazionale pari almeno al doppio dell'inflazione».
«Riprendendo parole di gattopardiana memoria – conclude Cartabellotta – se vogliamo rilanciare il SSN dobbiamo cambiare tutto – entità del finanziamento, criteri di riparto, verifica adempimenti LEA, pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari, modalità di rimborso delle prestazioni – affinché non cambi nulla, ovvero per non perdere i princìpi di equità, solidarietà e universalismo che da 40 anni costituiscono il DNA del nostro Servizio Sanitario Nazionale».
La versione integrale del 4° Rapporto GIMBE è disponibile all’indirizzo web: www.rapportogimbe.it

Roma, 13 giugno 2019 – Per inseguire un’abbronzatura perfetta, moltissime persone si sottopongono a sedute di lampade solari. Questa pratica si basa su una convinzione errata: che i lettini possano preparare la pelle all’esposizione alla luce estiva. Anzi, si va incontro a pericoli molto più grandi degli apparenti benefici. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno innalzato il livello di rischio delle apparecchiature UV nella classe di massima allerta: sono considerate “cancerogeni per l’uomo”, esattamente come le sigarette! Questa abitudine è tanto più pericolosa se inizia da giovanissimi.

Un’esposizione precoce, in particolare tra gli under 35, incrementa del 75% il rischio di sviluppare melanoma. In Italia sono infatti vietate ai minori di 18 anni. Le lampade possono inoltre danneggiare il sistema immunitario e gli occhi e accelerare l’invecchiamento.
Il melanoma è prevenibile soprattutto grazie a corretti comportamenti quando ci si espone al sole. Ad esempio, fra gli errori più frequenti vi è credere che, una volta scuri, il rischio scompaia. Non è così: l’abbronzatura è il meccanismo che la pelle mette in atto per proteggersi ma non rappresenta di per sé uno scudo. Anche quando l’epidermide è già bella dorata non bisogna mai dimenticarsi di applicare una crema solare con un buon filtro protettivo. Questo va scelto sulla base del fototipo (l’identikit costruito in base ai propri “colori”) e va applicato generosamente.

Roma, 6 giugno 2019 - Ogni giorno nel mondo più di un milione di persone tra i 15 e 49 anni rimangono contagiate da infezioni sessualmente trasmissibili curabili. In totale sono 376 milioni i nuovi casi l'anno di clamidia, gonorrea, trichomoniasi e sifilide. E’ quanto rende noto l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nel suo ultimo bollettino. "Siamo di fronte ad una preoccupante mancanza di progressi nell'arginare la diffusione di queste malattie nel mondo - commenta Peter Salama, direttore esecutivo per la copertura sanitaria universale dell'Oms - Questo è un campanello d'allarme, serve uno sforzo congiunto per assicurare a tutti e ovunque l'accesso ai servizi di prevenzione e terapia". Secondo i dati dell'Oms, nel 2016 nel mondo ci sono stati 127 milioni di nuovi casi di clamidia, 87 milioni di gonorrea, 6,5 milioni di sifilide e 157 milioni di trichomoniasi. Se non trattate possono causare effetti cronici gravi, come malattie neurologiche e cardiovascolari, infertilità, gravidanze extrauterine, e maggior rischio di Hiv. La sifilide da sola si stima che sia stata la causa nel 2016 di 200mila parti di bambini nati morti e morti neonatali. Rispetto al precedente bollettino del 2012, non c'è stato un calo sostanziale nelle infezioni esistenti e nei nuovi casi. In media, circa una persona su 25 nel mondo ha almeno una di queste malattie, in alcuni casi più di una contemporaneamente. Alcune di queste, come clamidia, gonorrea e sifilide, possono essere trasmesse anche durante la gravidanza e il parto, e nel caso della sifilide, anche tramite il contatto con sangue infetto e l'iniezione di droga. Eppure si tratta di malattie prevenibili proteggendosi durante i rapporti sessuali”.

Londra, 4 giugno 2019 - L'uomo moderno è arrivato a un 'paradosso evoluzionistico': cerca di essere più attraente ma con metodi che mettono a rischio la fertilità. Tra questi vanno segnalati gli steroidi e i farmaci utilizzati contro le calvizie. A evidenziare questo fenomeno contraddittorio sono due ricercatori britannici con una una lettera al Journal of Internal Medicine e un'intervista alla BBC. “Ho notato diversi uomini arrivare da me per un test di fertilità ed erano molto grossi - spiega James Mossman, ora alla Brown University negli USA, che ha dato il nome al paradosso insieme ad Allan Pacey dell'Università di Sheffield -. Cercano di apparire forti, il massimo dell'evoluzione. Ma in realtà si rendono poco adatti in termini evoluzionistici, perché non hanno più sperma". “Gli steroidi, spiega Pacey, mimano l'effetto del testosterone nell'organismo, facendo credere alla ghiandola che lo produce che ce ne sia troppo. È ironico che uomini che vanno in palestra per apparire bellissimi, soprattutto per attirare le donne, e inavvertitamente diminuiscono la loro fertilità”. Un meccanismo diverso, ma che comunque mina la fertilità, si ha con il farmaco finasteride, utilizzato contro la perdita dei capelli, che interferisce con il metabolismo del testosterone. In natura, sottolineano gli esperti, non c'è nessuna specie che rinuncia a tramandare il proprio Dna. "Pensare di essere più attraenti per l'altro sesso, ma uccidere la propria fertilità è un comportamento unico dell'uomo".

Roma, 5 giugno 2019 - Un sistema sanitario nazionale sorprendente che migliora le sue performance nonostante tutto: si riduce la mortalità per infarto, sono meno i parti cesarei, si interviene prima nelle fratture di femore. E in molte aree del Paese gli interventi per tumore del seno si concentrano nelle strutture d’eccellenza. Gli ospedali italiani infatti hanno migliorato, in media, la loro qualità su 175 indicatori nel 2017. E se in sanità il gap tra Nord e Sud permane, le differenze regionali sono comunque in calo. E' questo in sintesi il quadro tracciato dai dati del programma nazionale Esiti 2018, presentato ieri a Roma dall’AGENAS (Agenzia Nazionale per i servizi sanitari Regionali), che sviluppa il Pne su mandato del ministero della Salute. "Quest'edizione del Programma nazionale Esiti fotografa un sistema sanitario che marcia per raggiungere i migliori standard, con la maggior parte delle Regioni del Sud che nell’ultimo periodo hanno alzato il passo", afferma Francesco Bevere, direttore generale di Agenas. Resta, tuttavia, "ancora l’ostacolo della disomogeneità tra le Regioni così come resta l’eterogeneità intra-regionale anche in regioni storicamente 'virtuose'. I dati del 2017 indicano che laddove si è proceduto alla riorganizzazione a rete dei presidi ospedalieri e dell’offerta sanitaria si è registrato un significativo miglioramento degli esiti, come ad esempio nella cura del carcinoma della mammella, quando sono state correttamente costituite le Breast Unit", prosegue Bevere. "Accelerare i tempi per incrementare le reti tempo-dipendenti, elaborate dal Tavolo istituzionale coordinato da Agenas, significa ridurre in tutto il Paese la mortalità per patologie che non danno tempo né possibilità di scelta a pazienti che necessitano di cure immediate in strutture adeguatamente organizzate. Allo stesso modo, l’applicazione su tutto il territorio nazionale della rete oncologica, recentemente approvata dalla Conferenza Stato-Regioni, è il presupposto per garantire ai pazienti con tumore di accedere alle migliori cure nel proprio territorio. Quest’istantanea del Pne è un ulteriore stimolo a intraprendere una riorganizzazione orientata non solo alla qualità, ma anche all’equità nell’accesso alle cure".

 

Venerdì, 31 Maggio 2019 09:52

Ecco dieci cose che (forse) non sai sul fumo

Roma, 31 maggio 2019 – Si celebra oggi la Giornata mondiale senza tabacco. Sui pacchetti di sigarette c’è scritto “il fumo nuoce gravemente alla salute”. Ed è vero! Sì calcola che il tabacco provochi nel mondo più decessi di alcol, aids, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme. Ecco però alcune notizie che probabilmente non conosci su questo pericoloso vizio:
1. boccheggiare al narghilè (pipa ad acqua tipica dei paesi medio-orientali) equivale a consumare 100 sigarette alla volta
2. il 17% dei fumatori dorme meno di 6 ore a notte, mentre la percentuale si abbassa al 7% tra quelli che non fumano
3. le sigarette sono responsabili della metà dei tumori al tratto urinario
4. ogni 50 sigarette fumate avviene una mutazione genetica per ogni cellula dei nostri polmoni
5. il lunedì è il giorno più favorevole per dire addio alle sigarette
6. chi fuma subisce un deficit della memoria di circa il 30%
7. nel Bhutan (piccolo stato asiatico confinante con il Tibet) è vietata la vendita di prodotti di tabacco
8. il fumo passivo nuoce gravemente alla salute anche di cani, gatti e altri animali domestici. Proprio come per l’uomo aumenta il rischi di tumore
9. uno studente italiano su due è convinto che fumare provochi solo tosse e mal di stomaco
10. nel 1908 in Inghilterra venne introdotta la prima legge che proibiva la vendita di sigarette ai minori di 16 anni

Chicago, 30 maggio 2019 - Il mondo dell'oncologia sarà a Chicago dal 31 maggio al 4 giugno per la 55.esima edizione del congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO). Saranno oltre 39 mila gli specialisti da tutto il mondo che si riuniranno per condividere le ricerche cliniche sul cancro e il loro impatto sulla salute. I progressi nelle terapie mirate per i tumori del pancreas, della prostata e delle neoplasie pediatriche, così come i nuovi approcci per superare gli ostacoli che limitano l'accesso all'assistenza, sono tra gli argomenti al centro dell'edizione di quest'anno. Più di 2.400 gli abstract accettati dal comitato scientifico del congresso, oltre 3.200 gli abstract aggiuntivi per la pubblicazione online. Presidente dell'Asco è Monica Bertagnolli, di origine italo-francesi, chirurgo oncologo del Dana-Farber Cancer Institute di Boston.

Roma, 29 maggio 2019 – In tutto il Pianeta si vive più a lungo e con una migliore salute. Al tempo stesso però non si registrano più progressi per le morti sulla strada, il sovrappeso infantile, l'incidenza della malaria, il consumo di alcol e di acqua potabile sicura. Sono questi alcuni dei dati che emergono dalle Statistiche di salute mondiale 2019 pubblicate dall'Organizzazione Mondiale della Salute (OMS). Tra il 2000 e 2016 l'aspettativa di vita alla nascita della popolazione mondiale è aumentata di 5,5 anni, passando da 66,5 a 72 anni, così come è cresciuta anche l'aspettativa di vita in salute, passando da 58,5 a 63,3 anni. Dei 43 indicatori analizzati nel rapporto dell'OMS, sono stati rilevati dei miglioramenti per oltre la metà (56%). Tra questi una maggior assistenza da personale sanitario alla nascita e un calo delle morti materne da parto. Gli obiettivi globali di ridurre le morti neonatali e sotto i 5anni sono sulla buona strada, così come la bassa crescita infantile è in calo. Tuttavia si stima che 303 mila donne siano morte nel 2015 e 5,4 milioni di bambini con meno di 5 anni abbiano perso la vita nel 2017. Progressi sono stati registrati anche nel tasso di copertura vaccinale, mentre l'incidenza di malattie infettive, del fumo di tabacco, l'esposizione a fattori di rischio ambientale e la mortalità prematura da malattie non contagiose sono calati. Continuano ad esserci però disparità tra paesi ricchi e poveri. L'aspettativa di vita alla nascita ad esempio è di 18,1 anni inferiore nei paesi a basso reddito, dove 1 donna su 41 muore per cause legate alla maternità, un terzo dei bambini ha un basso tasso di crescita a causa delle carenze nutrizionali, e un bambino su 15 muore prima dei 5 anni.