FIMP NEWS

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Roma, 19 aprile 2019 – I lividi dei bambini possono essere sul corpo, ma anche sul cuore e sull’anima. E non fanno meno male. Pensando ai bambini abusati la mente corre ai maltrattamenti fisici e agli abusi sessuali che rappresentano, rispettivamente, il 23% e l’8-10% del totale: le forme di violenza più striscianti sono invece più comuni e in continuo aumento. La denutrizione, l’inadeguatezza dei vestiti, al sesso, all’età o alla stagione, la scarsa igiene o il disinteresse per i bisogni affettivi ed emotivi, fino all’eccesso di cure mediche o alla richiesta ossessiva ai propri figli di prestazioni superiori alla norma, sono tutti esempi di violenze ‘invisibili’ con cui il benessere di un bambino e il suo diritto a uno sviluppo armonico possono venire calpestati. 

Oggi su un totale di circa 100mila bambini e adolescenti vittime di abusi ogni anno, certamente sottostimato di alcune decine di migliaia di casi per la carenza di denunce, oltre il 60% sono dovuti a trascuratezza. Proprio perché la violenza cambia faccia e si nasconde sempre più spesso nelle pieghe della normalità, toccando tutte le classi sociali, prosegue il progetto voluto da Menarini per una rete di pediatri “salvabimbi”, grazie ai nuovi corsi di formazione “Lo sai che… Incontri sulla realtà degli abusi e dei maltrattamenti dell’infanzia”, organizzati con la Società Italiana di Pediatria (SIP) e la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP). Mille pediatri saranno allenati a riconoscere i segnali di difficoltà inespressi dell'infanzia e diventeranno così una “sentinella” del disagio dei minori, andando ad aggiungersi ad altrettanti medici già formati capaci di riconoscere prima i casi di abuso. Da qui a giugno i corsi coinvolgeranno Soave (VR), Novara, Ragusa, Oristano, Noventa (VE), Brescia, Foligno (PG), Viterbo, Caserta, Rende (CS), Ascoli Piceno, Parma e Savona: tredici città e anche centri di piccole dimensioni, proprio per diffondere la conoscenza del fenomeno in maniera più capillare possibile su tutto territorio.
“Si stima che in Italia siano circa l’1% i bambini e gli adolescenti maltrattati, ma questa percentuale rappresenta solo la punta dell’iceberg e la “patololgia delle cure” riguarda oltre il 60% dei casi – dice Pietro Ferrara, referente nazionale della Società Italiana di Pediatria (SIP) per abusi e maltrattamenti e professore di Pediatria presso l’Università Campus Bio-Medico e Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – Le forme di maltrattamento oggi conosciute sono infatti numerosissime e inizia ad esserci finalmente una maggiore consapevolezza del problema. La formazione su questi temi è diventata indispensabile anche nelle forme diverse da quelle “tradizionali” delle violenze fisiche e degli abusi sessuali. In ogni caso i bambini vittime di abusi, violenze e maltrattamenti, possono soffrire di importanti conseguenze immediate e tardive e vanno incontro a un maggior rischio di sviluppare problemi cognitivi, linguistici e sociali e di sviluppare da adulti disordini della personalità o fare abuso di sostanze”.
“La possibilità di prevenzione e contrasto del fenomeno degli abusi, non può prescindere da un’attenta informazione e sensibilizzazione da parte di tutti gli operatori pubblici e privati che entrano in contatto con il bimbo nel suo processo di crescita – dichiara Luigi Nigri, Vice Presidente Nazionale della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) – Intercettare l’abuso e la violenza prima che sia troppo tardi è uno dei compiti fondamentali del pediatra che, se competente e preparato, in questa ottica ricopre un ruolo fondamentale nel cogliere precocemente i segnali di disagio del bambino, fornendo così un contributo determinante e prezioso per dare un sostegno reale in tutti questi casi di vissuti lacerati”.
“Tutti i bambini hanno il diritto di vivere un’infanzia felice e serena; purtroppo, però, gli episodi di violenza su minori continuano ad essere frequenti e sono spesso compiuti da chi dovrebbe solo amarli e tutelarli – hanno detto Lucia e Alberto Giovanni Aleotti, azionisti e membri del Board di Menarini –In questo scenario, Menarini continua a supportare questo progetto unico al mondo che, con la formazione di migliaia di pediatri e medici di base, aiuta a proteggere i più piccoli da un destino crudele”.

Roma, 23 aprile 2019 - L'influenza è ormai agli sgoccioli, quasi tutte le regioni sono uscite dalla fase epidemica. Ma i contagi continuano. Secondo il bollettino di sorveglianza Influnet, la scorsa settimana ci sono stati circa 99.000 casi che hanno portato a toccare quota 8 milioni e 3.000 allettati. Anche quest'anno ci si avvicinerà agli 8,5 mln di contagi della stagione 2017/2018, ritenuta molto pesante. I casi gravi con ricovero in terapia intensiva sono stati 809, più dello scorso anno, e di questi 198 sono deceduti. I contagi quest'anno saranno oltre 3 milioni in più rispetto ai 5 milioni di allettati previsti inizialmente da alcune stime. Ma quella di quest'anno, come si legge sul bollettino FluNews Italia, è stata soprattutto un'influenza aggressiva: fino ad oggi, i casi gravi che hanno comportato il ricovero in terapia intensiva sono stati appunto 809, con 198 decessi. Al termine della passata stagione, si erano contati 764 casi gravi e 173 deceduti con 198 decessi.

Roma, 19 aprile 2019 - La vaccinazione contro il Papillomavirus (Hpv) effettuate intorno ai 12-13 anni premette di ridurre, fino all'88%, le lesioni che provocano i tumori al collo dell'utero. Ma più ci si vaccina tardi e meno efficace è la protezione. Arriva da uno studio pubblicato sul British Medical Journal e che ha analizzato quasi 140.000 ragazze, la conferma della capacità del vaccino anti Hpv di prevenire uno dei tumori più diffusi nelle donne. Il programma di vaccinazione contro l'Hpv per ragazze tra 12 e 13 anni è stato introdotto in Scozia nel 2008. La ricerca condotta presso l'Università di Edimburgo ha analizzato i suoi effetti sullo sviluppo delle neoplasie intraepiteliali cervicali (Cin), ovvero lesioni precancerse che precedono il tumore alla cervice e che possono essere di pericolosità lieve, moderata o grave. Per farlo hanno comparato i dati sulla vaccinazione e i risultati degli screening ginecologici di 138.692 giovani donne nate tra il 1988 e il 1996: tra loro vi erano donne non vaccinate (nate tra il 1988 e 1990), donne che avevano avuto la possibilità di recuperare la vaccinazione tra i 14 e i 17 anni (nate tra il 1991 e 1994) e ragazze sottoposte alla vaccinazione di routine a 12-13 anni (nate tra 1995 e 1996).
Questo ultimo gruppo beneficiava di una riduzione del 79% di lesioni precancerose di lieve pericolosità, una riduzione dell'88% di quelle moderate e dell'86% delle lesioni più gravi. Ma la capacità di prevenzione diminuisce per chi si vaccina tardivamente: tra chi lo aveva fatto a 17 anni la riduzione delle lesioni gravi scendeva dall'86% al 51%. "Le cifre sono impressionanti", commenta Kevin Pollock, ricercatore presso la Glasgow Caledonian University e coautore dello studio, "e mostrano che il vaccino HPV è associato alla quasi completa eliminazione delle lesioni cervicali nelle giovani donne scozzesi, già dopo solo otto anni dall'inizio del programma vaccinale".

Roma, 18 aprile 2019 – Con un sì pressoché unanime la Camera dei Deputati ha votato per il riconoscimento della cefalea primaria cronica come malattia sociale. Il testo è stato approvato a Montecitorio con 451 voti a favore ed un solo astenuto, ed ora passa al Senato. Il provvedimento dispone l'accertamento della malattia, da almeno un anno, che ne attesti l'effetto invalidante tale da limitare, o compromettere gravemente, la capacità di far fronte agli impegni di famiglia e di lavoro. Le forme di cefalee riconosciute come malattia sociale sono l'emicrania cronica e ad alta frequenza; la cefalea cronica quotidiana con o senza uso eccessivo di farmaci analgesici; la cefalea a grappolo cronica; l'emicrania parossistica cronica; la cefalea nevralgiforme unilaterale di breve durata con arrossamento oculare e lacrimazione; l'emicrania continua. Il ministro della Salute dovrà emanare un decreto con i progetti per sperimentare modelli innovativi di presa in carico delle persone affette da queste forme di cefalea.

Roma, 17 aprile 2019 – L’accesso ai medicinali sta diventato un problema serio anche nei Paesi ricchi. Il motivo di questo nuovo fenomeno è l’eccessivo costo di alcuni farmaci che sta determinando un razionamento da parte delle autorità sanitarie. E’ questo l’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Nel forum globale svoltosi la scorsa settimana in Sud Africa, i delegati di governi e organizzazioni della società civile hanno chiesto maggiore chiarezza sui costi della ricerca, lo sviluppo e la produzione dei farmaci, per poter consentire ai compratori di negoziare prezzi più accessibili. A tal fine si vuole lavorare su una piattaforma con tutti gli attori in causa per identificare le strategie per ridurre i prezzi dei farmaci e allargare il loro accesso. Un rapporto redatto per l’Oms nel 2017 ha mostrato infatti che il costo di produzione della maggior parte dei farmaci che si trova nella lista di quelli essenziali è solo una piccola frazione del prezzo finale pagato da governi, pazienti o assicurazioni. La mancanza di trasparenza sui prezzi pagati dai governi fa sì che molti dei paesi a basso e medio reddito paghino di più rispetto ai paesi ricchi alcuni farmaci. A tal fine tutti sono stati d’accordo nel promuovere una maggiore trasparenza e condividere le informazioni sui prezzi.

Roma, 15 aprile 2019 - E' rimasto conservato per oltre 100 anni e ora è il più antico ceppo disponibile e ravvivato del vibrione del colera, era già resistente agli antibiotici. Il suo codice genetico è stato letto per la prima volta dai ricercatori del Wellcome Sanger Institute ed è stato isolato in un soldato britannico morto durante la prima guerra mondiale. I risultati sono stati pubblicati su "Proceedings of the Royal Society B" e mostrano come questo ceppo di Vibrio cholerae fosse unico e non tossicogenico, diverso rispetto ai ceppi batterici che causano oggi le pandemie. La resistenza riscontrata sarebbe una condizione creata dallo stesso per combattere contro antibiotici naturali. Proprio durante la prima guerra mondiale ci fu la sesta pandemia di colera, causata da un classico vibrione. Sorprendentemente pochi soldati inglesi la contrassero. Nel 1916 un ceppo del vibrione venne estratto dalle feci di un soldato in convalescenza in Egitto e i rapporti indicavano che si trattasse di "diarrea colerica". Il batterio, nel 1920, venne depositato nella National Collection of Type Cultures. I ricercatori del Sanger Institute hanno rianimato i batteri del soldato, ritenuti il più antico campione del vibrione disponibile, e ne hanno sequenziato l'intero genoma. Il gruppo ha scoperto che questo particolare ceppo non era il tipo in grado di provocare il colera epidemico, ed era estraneo al classico Vibrio cholerae che causò la sesta pandemia ai tempi della prima guerra mondiale. I ricercatori hanno anche scoperto che questo ceppo possedeva un gene per la resistenza all'ampicillina. Ciò aumenta la prova che i geni per la resistenza agli antibiotici nei batteri esistevano prima dell'introduzione di trattamenti antibiotici, probabilmente perché i batteri ne avevano bisogno per proteggersi dagli antibiotici presenti in natura.

Roma, 12 aprile 2019 – Il 39,9% degli italiani è colpito da una malattia cronica (pari a più di 23 milioni di cittadini). Ma solo il 50% di questi pazienti assume i farmaci in modo corretto: spesso infatti seguono le indicazioni del medico con discontinuità o abbandonano la cura dopo un breve periodo. Il problema diventa esponenziale negli anziani, toccando percentuali superiori al 70%. Con pesanti conseguenze che diventano particolarmente importanti in Italia, primo Paese in Europa per indice di vecchiaia. I possibili risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale legati ad una migliore aderenza alla terapia ammontano a 11,4 miliardi di euro ogni anno, ottenibili attraverso minori eventi avversi, inferiori accessi ai pronto soccorso e ospedalizzazioni e minore spesa farmaceutica. Proprio per sensibilizzare cittadini e Istituzioni sull’importanza dell’aderenza terapeutica è stato presentato in Senato un disegno di legge che prevede l’istituzione della Giornata Nazionale dell’aderenza alla terapia per il 12 aprile, giorno di San Giuseppe Moscati, medico napoletano che ha dedicato la vita professionale a curare gratuitamente i poveri.

Il Disegno di Legge è stato richiesto a gran voce dal Comitato Italiano per l’Aderenza alla Terapia (CIAT), che riunisce società scientifiche, medici (FNOMCeO, Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), farmacisti (Federfarma), infermieri (FNOPI, Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche), Istituzioni e associazioni di pazienti. L’obiettivo è sensibilizzare i cittadini, i pazienti, chi li assiste e le Istituzioni sull’importanza di seguire correttamente le cure per migliorare il proprio stato di salute in vista di un invecchiamento positivo e di una sana longevità.

“È facile prevedere come, senza un complessivo ripensamento del funzionamento del Sistema Sanitario, in pochi anni si possa correre il rischio di un ‘default’ dello stesso, a fronte di una crescita progressiva del numero di ‘senior’ – nel 2018 il 22,3% della popolazione, ma il 30% nel 2050 – che già oggi ‘consuma’ il 67,5% della spesa sanitaria – si legge nel disegno di legge -. I soggetti anziani sono i maggiori consumatori di farmaci; oltre il 90% degli ultrasessantacinquenni riceve una o più prescrizioni di farmaci. Circa il 50% dei soggetti più anziani ricevono ≥5 e il 10% ≥10 farmaci. Esistono prove incontrovertibili che dimostrano come un’alta percentuale di pazienti, soprattutto quelli più anziani, mostri un’aderenza limitata al trattamento, con pesanti effetti negativi di questo comportamento sui benefici attesi dalla cura e conseguenti aumenti di costi per il Servizio Sanitario”.

“Il problema dell’aderenza riguarda in particolare gli anziani, infatti l’11% degli over 65 (circa 1 milione e 500mila persone in Italia) deve assumere ogni giorno 10 o più farmaci – afferma Vincenzo Mirone, responsabile scientifico di CIAT -. Il lavoro da fare per migliorare i comportamenti dei pazienti è ancora tanto: in particolare, in Italia, solo il 57,7% dei pazienti aderisce ai trattamenti antipertensivi, il 63,4% alle terapie ipoglicemizzanti per la cura del diabete, il 40,3% alle cure antidepressive, il 13,4% ai trattamenti con i farmaci per le sindromi ostruttive delle vie respiratorie e il 52,1% alle cure contro l’osteoporosi. Percentuali che non hanno subito variazioni di rilievo nel corso degli anni, con notevoli costi clinici e sociali.”

Per CIAT la Giornata Nazionale per l’aderenza alla terapia rappresenta il punto di partenza per la grande campagna di Comunicazione Nazionale “Io aderisco. Tu che fai?” che prevede la realizzazione di attività all’interno dei Centri Sociali per Anziani, con la collaborazione di Senior Italia FederAnziani; la realizzazione di Feste della famiglia sul territorio destinate a coinvolgere i caregiver (dai figli ai nipoti) insieme a pazienti e medici, per costruire una solida e duratura alleanza che veda tutti gli attori focalizzati per implementare l’aderenza dell’assistito/familiare; attività all’interno delle scuole, per instaurare un percorso formativo tale da sensibilizzare i giovani sul tema aderenza e sul loro ruolo di “guardiani” della salute dei loro genitori/nonni; una campagna di comunicazione attraverso la realizzazione di materiali a fumetti e spot televisivi.

Tra i testimonial d’eccezione della campagna sull’aderenza è il cantante e conduttore televisivo Claudio Lippi.

CIAT (Comitato Italiano per l’Aderenza alla Terapia)
Il tema “aderenza” riguarda da vicino la popolazione anziana, specie in compresenza di più patologie. L’Italia è al primo posto in Europa per indice di vecchiaia, con intuibili conseguenze sull’assistenza sanitaria a causa del numero elevato di malati cronici. Per sensibilizzare la popolazione, i pazienti, i caregiver, le Istituzioni e i politici sull’importanza della questione, non solo nel nostro Paese, è nato il CIAT (Comitato Italiano per l’Aderenza alla Terapia). Il Comitato si muove a livello nazionale ed europeo e vuole diventare un punto di riferimento, coinvolgere società scientifiche, Istituzioni, associazioni di pazienti, farmacisti e cittadini per una grande campagna di sensibilizzazione. Per favorire la condivisione del progetto, è stato presentato il disegno di legge che prevede l’istituzione della “Giornata Nazionale dell’aderenza alla terapia”, la prima mai realizzata, che intende promuovere cultura a 360 gradi su questi temi.
Sono previsti momenti di confronto e formativi, ma anche di gioco e coinvolgimento per i più giovani. Soprattutto nei confronti degli anziani, figli e nipoti possono fare molto per aiutare, sostenere e supportare i nonni nel percorso di cura.

Informazioni sull’aderenza alla terapia
L’aderenza è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “il grado in cui il comportamento di una persona – nell’assumere i farmaci, nel seguire una dieta e/o nell’apportare cambiamenti al proprio stile di vita – corrisponde alle raccomandazioni concordate con i sanitari”. Rappresenta quindi il livello di coincidenza tra il comportamento del paziente e le indicazioni date dal medico, includendo l’attitudine della persona a conformarsi alle raccomandazioni del sanitario, in tutti quei comportamenti che concorrono alla piena adesione al percorso di cura, dalle prescrizioni farmacologiche o di follow up, alle indicazioni relative alla dieta fino ai suggerimenti per un cambiamento dello stile di vita. In un report dell’OMS dedicato interamente a questo tema, la stima dell’aderenza nei pazienti che soffrono di malattie croniche risulta solo del 50% nei Paesi sviluppati, mentre l’impatto della scarsa aderenza, nei Paesi in via di sviluppo, è ancora più elevato, data l’insufficienza di risorse sanitarie e le disuguaglianze nell’accesso alle cure.

La scarsa aderenza alle prescrizioni del medico è la principale causa di non efficacia delle terapie farmacologiche ed è associata a un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, della morbilità e della mortalità, rappresentando un danno sia per i pazienti che per il sistema sanitario e per la società. Maggior aderenza significa infatti minor rischio di ospedalizzazione, minori complicanze associate alla malattia, maggiore sicurezza ed efficacia dei trattamenti e riduzione dei costi per le terapie. La popolazione anziana è quella più a rischio sotto il profilo dell’aderenza alle terapie, soprattutto in compresenza di più patologie. L’Italia è al secondo posto in Europa per indice di vecchiaia, con intuibili conseguenze sull’assistenza sanitaria a causa del numero elevato dei malati cronici. L’aderenza alle terapie è pertanto fondamentale per la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.

I costi
L’aderenza terapeutica rappresenta un problema non solo clinico ma anche economico di crescente rilievo in molti Paesi: alcuni studi americani riportano che il 30-50% degli adulti non segue adeguatamente le prescrizioni di farmaci a lunga durata, con sprechi per circa 100 miliardi di dollari all’anno negli USA, ed il paziente a maggior rischio di non aderenza è rappresentato dall’anziano in politerapia. Il rapporto PGEU 2012 (Pharmaceutical group europeo del 2012), riporta i dati di mortalità in Europa per mancata aderenza terapeutica o per errori di dosaggio o assunzione di farmaci: 194.500 decessi e 125 miliardi di euro l’anno per i costi dei ricoveri. Secondo i dati del Centro Studi SIC Sanità in Cifre di FederAnziani, diagnosi precoce e sviluppo dell’aderenza alla terapia possono determinare fino a 19 miliardi di euro di risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale e un significativo miglioramento in termini di salute per l’intera popolazione dei malati cronici: in particolare un risparmio di 3,7 miliardi di euro può derivare da una più rapida emersione della patologia, con maggiore prevenzione e un minore costo medio della terapia per paziente; 3,8 miliardi di euro sarebbero recuperati sul fronte della riduzione della diagnostica e dell’avvio precoce del trattamento, con minori prestazioni diagnostiche, minori tempi di attesa, maggiore efficienza del personale ospedaliero; fino a 11,4 miliardi, infine, verrebbero risparmiati con la maggiore aderenza alla terapia, quindi minori eventi avversi, inferiore accesso a pronto soccorso e ospedalizzazione e minore spesa farmaceutica.

Roma, 11 aprile - Sì, ma con condizioni e paletti, all'utilizzo e alla rimborsabilità del farmaco che ritarda la pubertà in adolescenti con disforia di genere, ovvero che sentono la propria identità di genere diversa dal proprio sesso. No, invece, a polemiche, che danneggiano solo chi vive questa, non facile, condizione. Ad chiederlo oggi sono stati gli esperti della Federazione Italiana dei Medici Pediatri (Fimp) e della Società Italiana di Pediatria (Sip), ascoltati in Commissione Igiene e Sanità del Senato sull'uso della triptorelina: un delicatissimo argomento che, nei mesi scorsi, non ha mancato di suscitare polemiche. "La triptorelina non blocca, bensì sospende, lo sviluppo puberale in maniera reversibile - ha spiegato Luisa Galli, membro del Gruppo di Studio in farmacologia pediatrica della Sip -: utilizziamo già questo farmaco in ambito pediatrico da circa 30 anni per ritardare l'adolescenza in bambini e bambine che hanno una pubertà molto precoce. Finora si è dimostrato sicuro, anche se pochi sono gli studi che evidenziano questi dati a lungo periodo". Per quello che riguarda il suo utilizzo in una condizione come la disforia di genere, che è rarissima e riguarda, verosimilmente, meno di 100 casi all'anno in tutta Italia, precisa il presidente Fimp Paolo Biasci, "diversamente da quanto alcuni hanno riportato, non ha lo scopo di cambiarne l'orientamento sessuale, ma di sospendere temporaneamente lo sviluppo di alcuni caratteri fisici, come barba o seno". Si tratta infatti di teenager "che vivono in modo difficile il momento dello sviluppo, e il farmaco permette loro di ritardarne l'arrivo, in attesa che sia più chiaro in quale genere si sentano identificati". Questo utilizzo "non va demonizzato", ma "va limitato ai casi specifici e rarissimi, in cui sia prescritto dopo attenta valutazione da parte di una equipe di esperti. Le polemiche in materia non giovano a nessuno, e fanno male soprattutto a chi vive questa condizione". Sì, quindi, dai pediatri, alla rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale, purché con precise condizioni e paletti già indicati, nelle audizioni dei giorni scorsi in Senato, dal Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) e dall'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). Ovvero, sottolinea Galli, "è importante che la prescrizione di triptorelina sia limitata a casi molto selezionati, nei quali sia fallito l'approccio psicoterapeutico, e dopo valutazione di un team multidisciplinare, che dovrà accompagnare il ragazzo/a nel percorso terapeutico". Le limitazioni riportate nella determina Aifa, verosimilmente, conclude, "consentiranno un utilizzo più regolamentato rispetto all'utilizzo off label in atto fino ad oggi, quando la prescrizione era delegata alla responsabilità del singolo medico, e il farmaco doveva essere acquistato dalla famiglia".

Roma, 10 aprile 2019 – Gli italiani sono sempre di più in eccesso di peso. Nel nostro Paese ben il 46% degli adulti (over18), ovvero oltre 23 milioni di persone, e il 24,2% tra bambini e adolescenti (6-17 anni), vale a dire 1 milione e 700mila persone, è in eccesso di peso. Questi ultimi soprattutto se residenti nel Sud del Paese (31,9%). E’ la preoccupante fotografia scattata dall’Italian Barometer Diabetes Observatory (Ibdo) Foundation nella prima edizione dell’Italian Obesity Barometer Report, realizzato in collaborazione con Istat e presentato ieri a Roma. Secondo il rapporto, in generale le donne mostrano un tasso di obesità inferiore (9,4%) rispetto agli uomini (11,8%). Ancora più marcata è la differenza tra i bambini e adolescenti, di cui il 20,8% delle bambine è in eccesso di peso rispetto al 27,3% dei maschi. Il rapporto, realizzato con il patrocinio del ministero della Salute, dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e di numerose società scientifiche. Si conferma l’eccesso di peso sia un problema molto diffuso soprattutto al Sud e nelle Isole; in particolare tra i più giovani, dove sono ben il 31,9 e 26,1% rispettivamente i bambini e gli adolescenti in eccesso di peso, rispetto al 18,9% dei residenti del Nord-Ovest, il 22,1% del Nord-Est e il 22% del Centro. Tra gli adulti, le diseguaglianze territoriali sono meno marcate: il tasso di adulti obesi varia dall’11,8% al Sud e nelle Isole, al 10,6 e 10,2 % nel Nord-Est e Nord-ovest rispettivamente, fino all’8,8% del Centro.

Roma, 9 aprile 2019 – In Europa si gode di buona salute. A riportarlo sono gli ultimi dati dell’Eurostat (2017): in Ue 7 abitanti over 16 anni su 10 ritengono di essere in buona oppure ottima salute (70%). E meno di uno su 10 (8%) riporta condizioni cattive o pessime di salute. Sul podio si classificano Irlanda (83% in buona o ottima salute) e Cipro (78%), seguite dall'Italia e dalla Svezia, terze pari merito con il 77%. Se la Gran Bretagna pre-Brexit si piazza subito dopo la Grecia, Francia e Germania vanno peggio rispetto alla media europea, mentre agli ultimi posti della classifica troviamo Portogallo (49%), Estonia (53%), Polonia e Ungheria (59%). Curiosamente, nell'Unione europea a percepirsi in buona salute sono più spesso gli uomini delle donne (72% contro 67%), un gap che si allarga soprattutto fra gli over 65: in questo caso a sentirsi bene è il 45% dei primi contro il 39% delle seconde. Non a caso, la percentuale di chi si giudica in buona salute si riduce con l'età: negli uomini si va da oltre l'88% a 16-44 al 69% a 45-64 anni, fino al 45% fra gli over 65. Quanto alle donne, a 14-44 anni l'87% si sente in forma, contro il 65% a 45-64 anni e il 39% dopo i 65 anni.