Newsletter (105)
SCUOLA E DISABILITÀ: AL VIA I BANDI PER LA FORMAZIONE LIS PER INSEGNANTI
Scritto da FIMP NEWSA cura di Milena Lo Giudice, coordinatrice nazionale Area Etico Sociale FIMP
Nonostante l'abbondanza di ricerche storiche, antropologiche ed esegetiche è ancora difficile conoscere con certezza quale sia l'origine della circoncisione. Di certo non si tratta di una prassi sorta in seno al popolo ebraico che (al pari di molti altri usi rituali) la assunse dai popoli vicini. Ma questo sposta solo in un più vasto raggio temporo-spaziale il problema. Erodoto afferma che gli ebrei appresero dagli egiziani tale pratica ma, a parte la sua non costante affidabilità di storico, il reperimento di mummie incirconcise rende discutibile questa affermazione, perlomeno se riferita a una prassi diffusa a tutta la popolazione (Cornfeld, 1981). Inoltre la presenza di tale rito presso i popoli di aree geografiche e culturali assai lontane da quella ebraica (come, ad esempio, quelli del Messico precolombiano) crea ulteriori difficoltà a identificarne l'origine. Lo si riscontra, infatti, presso i Fenici, gli Arabi, gli Aztechi, i Maya, gli aborigeni australiani, i Malesi del Borneo, alcuni indiani d'America, gli abitanti delle isole Fiji, Samoa e Caraibi (Bolande, 1969).
Altrettanto variegato è il panorama di ipotesi relativo al significato del rito. La classica interpretazione religiosa attribuitavi da Israele è riconducibile, forse, all'uso di "marchiare" il nemico asportandogli una parte corporea potendo così evidenziare davanti a tutti il suo stato di sottomissione. All'ambito mitico si può far risalire l'interpretazione che vede in questa pratica una sorta di "sostituto simbolico" della castrazione che veniva spesso pratica quale rito propiziatorio di divinità femminili (Ishtar, Cibele, ecc.). Sempre in quest’ambito si trova un’intepretazione che la collega a un rito prenuziale di cui rimane traccia nel difficile passo di Es 4, 24-26 in cui Sefora dopo aver tagliato il prepuzio del figlio tocca con questo i genitali di Mosè (simulandone, così la circoncisione) e lo chiama "sposo di sangue".
Poi quella antropologico-culturale per cui tale pratica (al pari del battesimo cristiano) rientra tra quei "riti della nascita" attestanti l'avvenuto ingresso del neonato nella comunità degli uomini e quindi l'appartenza ad essa (Van der Leew, 1975). In tal senso alla circoncisione sono assimilabili altre pratiche quali la clitoridectomia, l'infibulazione (consistente nella scarificazione e conseguente aderenza cicatriziale dei genitali esterni femminili), l'exodontia, l'amputazione di dita. Tali gesti, assolutamente brutali e ripugnanti alla coscienza occidentale acquistano in realtà il significato di una vera e propria "chirurgia rituale".
Particolare rilievo è stato dato poi all'interpretazione psicanalitica sostenuta da Freud che identifica nella circoncisione una sorta di "punizione paterna" per gelosia e timore di un figlio, ancestrale "concorrente" nella conquista della donna (Ib). Questa sorta di affermazione di supremazia maschile che affonda le sue radici in un passato tribale di cui sarebbe quasi una "reliquia" stratificata simbolicamente nella psicologia del profondo trova stranamente un'eco di antiche intepretazioni rabbiniche. Queste, identificando Infine quella psicanalitica (suffragata peraltro da antiche interpretazioni rabbiniche) identificanti nell'atto una forma di "virilizzazione" data la simbologia femminile che acquista la "guaina" del prepuzio dalla quale il glande viene così ad emergere (Fuchs, 1979).
Secondo la Mishnah l'atto rituale della circoncisione deve avvenire di sabato e constare di quattro fasi (Preuss, 1978). La prima consiste nell'asportazione del prepuzio (milah); la seconda nell'asportazione della membrana prepuziale che ancora ricopre la corona del glande (periyah); tale procedura che viene ricondotta a un'interpretazione rabbinica di Gs 5,3 si fa risalire al tempo dei Maccabei per evitare il gesto di quegli ebrei che nelle palestre "cancellarono i segni della circoncisione" (1 Mac 1,15) con un intervento di chirurgia plastica ante litteram. La terza fase consiste nell'apposizione orale di vino (metzitzah) sulla ferita e ha significato più medico che rituale essendo finalizzata all'emostasi e forse anche alla disinfezione. Così pure la la quarta ed ultima nell'applicazione di un bendaggio (ispelanith).
Il neonato va circonciso solo quand'è in buona salute usando qualsiasi strumento tagliente (dalla selce smussata dei tempi biblici agli odierni strumenti con lama ad affilatura bilaterale). E' molto interessante notare che "se due bambini della stessa madre o un bambino di ciascuna di due sorelle muore in conseguenza della circoncisione, non si deve circoncidere un terzo figlio" (Ib.). Si tratta quasi certamente di una delle prime, sia pur indirette, osservazioni relative all'emofilia o in ogni caso a una coagulopatia.
Nel mondo islamico, quello della circoncisione dei figli maschi, che in Magreb viene chiamato tuhur, è ben più di un semplice rito o di una tradizione: è un aspetto veramente essenziale della fede ed è una condizione importante dell’essere musulmano. Si può affermare che la circoncisione è paragonabile al Battesimo cristiano, quindi un sacramento fondamentale per i credenti.
Una certa scuola di pensiero si è orientata, negli Stati Uniti ad eseguire la circoncisione alla nascita a tutti i neonati come misura igienica e di profilassi.
La circoncisione avrebbe infatti una funzione preventiva per le malattia sessualmente trasmesse.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) già nel settembre 1998 ha licenziato un parere in merito ai profili bioetici della circoncisione (La circoncisione: Profili bioetici). In tale documento e' stato evidenziato come l'accettazione del carattere multietnico dell'attuale societa' italiana implica una profonda e doverosa attenzione nei confronti di tutti gli aspetti religiosi e culturali specifici di ciascun popolo. Le singole culture religiose e i singoli gruppi etnici debbono tuttavia rispettare i valori e le norme che regolano la vita della societa' che li ospita o che li ha integrati, e in particolare quelli espressamente indicati nel testo della Costituzione Italiana. Ne consegue, prosegue la nota della Consulta Nazionale di Bioetica, anche che gli atti di disposizione del proprio corpo che non abbiano finalita' terapeutiche e profilattiche e che comunque producano una invalidita' permanente non hanno in generale alcuna legittimazione bioetica. Il CNB ha dunque ritenuto che la circoncisione femminile sia illecita sotto il profilo etico e giuridico. Di contro, per le sue specifiche caratteristiche terapeutiche o profilattiche, e' da considerarsi lecita la circoncisione maschile. Il Comitato infine ha raccomandato che, in quanto atto di natura medica, perche'produttivo di modificazione anatomo-funzionale dell'organismo, quello della circoncisione debba venir praticato nel pieno rispetto di tutte le usuali norme di igiene e asepsi e che esso venga posta in essere da un medico. Alcuni membri dell'allora Cnb hanno ritenuto potersi praticare la circoncisone rituale su neonati, considerata in genere l'elementarita' dell'intervento, anche da ministri di culto a cio' preposti, purche' di adeguata e riconosciuta competenza. E' comunque ribadita la responsabilita' di chi pratica la circoncisione di garantire personalmente la continuita' dell'assistenza eventualmente necessaria dopo l'intervento o di fornire comunque indicazioni esaurienti e non equivoche perche' tale assistenza possa essere efficacemente prestata.
Considerazioni finali
Alla luce delle morti ricorrenti di bambini sottoposti a “circoncisione clandestina,” pratica che si svolge senza analgesia e senza i necessari accorgimenti medico chirurgici, si rende necessario che questi piccoli vengano sottoposti a circoncisione in ambiente ospedaliero con tutte le tutele sanitarie possibili. Come abbiamo visto non esistono remore dal punto di vista etico. L’unico problema potrebbe porsi per l’equa allocazione delle risorse economiche in sanità, e se quindi inserire la circoncisione rituale fra i LEA. Un possibilità potrebbe essere il pagamento di un ticket il più basso possibile perché queste famiglie possano essere in grado di affrontare la spesa.
BIBLIOGRAFIA
- G. CORNFELD (a cura di), Circoncisione in: "Enciclopedia Biblica", Marietti, Torino 1981, 243-244
- E.FUCHS, Desiderio e Tenerezza, Claudiana, Torino 1979, 41-12
- J. PREUSS, Biblical and Talmudic Medicine (Ed. F. Rosner), Hebrew Publishing Company, New York 1978, 242
- G. VAN DER LEEUW, Fenomenologia della Religione, Boringhieri, Torino 1975, 153
- C. WIENER, Circoncision in "Voc. de Theol. Bibl.", Paris 1967, 134-136;
QUESTIONI DI ALLATTAMENTO AL SENO, TRA VERE E FALSE CONTROINDICAZIONI
Scritto da FIMP NEWSA cura di Teresa Cazzato, coordinatrice nazionale FIMP Allattamento al Seno
L’allattamento al seno è una delle aree di prevenzione, patrimonio del pediatra, che trattiene in sè importanti e determinanti obiettivi di salute per madre e bambino al tempo presente e nel futuro.
Rispetto all’allattamento al seno come alimentazione ottimale c’è confusione circa le reali controindicazioni sia per il suo inizio che per la sua durata.
In questa revisione del dr. Davanzo, componente della Task Force per l’Allattamento del Ministero della Salute italiano, si cerca di fare chiarezza sul tema per dare un’informazione corretta agli operatori sanitari e dirimere ansie e preoccupazioni ingiustificate che rischiano di indurre le madri a non iniziare o non continuare l’allattamento al seno.
Non vanno confuse, infatti, le condizioni che possono impedire l’inizio e la durata dell’allattamento in quanto vere e proprie controindicazioni, intendendo per controindicazione una condizione che è una ragione medica per non procedere ad un trattamento. In questo senso, ad esempio, il diabete materno non è una controindicazione all’allattamento. Una controindicazione reale, invece, è rappresentata dalla necessità di assunzione da parte della madre di un farmaco dannoso per il neonato: a quest’ultimo proposito si valuta il passaggio nel latte materno del farmaco e gli eventi avversi che, nella maggioranza dei casi, sono veramente pochi. Per dirimere dubbi su questo tema è disponibile il numero verde allattamento farmaci e gravidanza (800883300 Unità Operativa di Tossicologia Clinica - Centro Anti Veleni Ospedali Riuniti di Bergamo) e l’App LACTMED (in lingua inglese) che possono essere consultati per evitare un mancato inizio o interruzione impropria dell’allattamento.
Sono poche le vere controindicazioni per l’allattamento al seno e gli operatori sanitari non sempre forniscono consigli univoci, anzi a volte contraddittori. Molto spesso gli ostacoli sono confusi come controindicazioni, intendendo per ostacolo qualcosa che blocca un percorso come ad esempio una madre in difficoltà per una mastite o un neonato SGA che viene reputato non competente a nutrirsi al seno.
L’articolo, inoltre, approfondisce altre condizioni attuali come mastoplastica riduttiva/addittiva, cancro al seno, infezioni importanti come CMV, HIV o situazioni come la gravidanza in cui l’operatore sanitario informato può essere determinante per l’avvio o la durata dell’allattamento.
A volte si può pensare che l’area dell’allattamento sia un settore poco produttivo o di poco approfondimento mentre invece, come questo articolo e la letteratura dimostrano, è sempre in continuo sviluppo di contributi a sostegno di decisioni fondamentali per tracciare il futuro di salute della diade madre/bambino.
A margine del commento relativo a questo articolo si segnala un ulteriore utile e ufficiale strumento di consultazione sul tema allattamento e gravidanza rappresentato dal sito www.farmaciegravidanza.gov.it.
Riccardo Davanzo 1, 2
Controversies in Breastfeeding
Frontiers in Pediatrics. 2018; 6: 278.
Published online 2018 Nov 01
1 Division of Pediatrics and Neonatology, Department of Mother and Child Health, Ospedale Madonna delle Grazie, Matera,
Italy, 2 Task Force on Breastfeeding, Ministry of Health, Rome, Italy
PROGETTO "FARE DI PIU' NON SIGNIFICA FARE MEGLIO" CHOOSING WISELY ITALIA LE RACCOMANDAZIONI FIMP
Scritto da FIMP NEWSA cura di Mattia Doria, Segretario Nazionale alle Attività Scientifiche ed Etiche
Non utilizzare farmaci cortisonici per via sistemica per il trattamento della febbre.
I farmaci cortisonici esercitano una potente azione antipiretica e antiinfiammatoria ma il loro utilizzo deve essere riservato a condizioni in cui l’entità della risposta infiammatoria ponga a rischio le condizioni di salute del bambino.
Non vanno utilizzati per la gestione degli episodi febbrili del bambino legati alle frequenti infezioni delle prime vie aeree tipiche dell’età prescolare.
I cortisonici sistemici agiscono esercitando una potente azione immunosoppressiva e possono favorire infezioni opportuniste o esacerbare infezioni virali.
La decisione di intraprendere una terapia con i cortisonici deve tenere in considerazione i potenziali rischi ed è fortemente sconsigliata per il trattamento della febbre di origine indeterminata.
Bibliografia essenziale
- National Institute for Health and Care Excellence. Feverish illness in children (CG160). May 2013. http://guidance.nice.org.uk/CG160 (Accessed on June 14, 2018).
- Section on Clinical Pharmacology and Therapeutics, Committee on Drugs, Sullivan JE, Farrar HC. Fever and antipyretic use in children. Pediatrics 2011; 127:580.
- Chiappini E, Venturini E, Remaschi G, et al. 2016 Update of the Italian Pediatric Society Guidelines for Management of Fever in Children. J Pediatr 2017; 180:177.
- Brunton L. ,Chabner B.A., Knollman B. Goodman and Gilman's The Pharmacological Basis of Therapeutics, Twelfth Edition 12th Edition
NUOVE EVIDENZE SULLA CORRELAZIONE TRA SVILUPPO DI OBESITA' E ALTERAZIONI DEL MICROBIOTA: GLI EFFETTI A LUNGO TERMINE DI ANTIBIOTICI E ANTIACIDI
Scritto da FIMP NEWSA cura di Adima Lamborghini, coordinatrice nazionale Area Alimentazione Nutrizione
E’ noto da tempo che l’obesità si associa a una composizione alterata del microbiota intestinale, ma il ruolo causale di questa alterazione non è stato finora accertato. Tale correlazione è di particolare interesse, poiché sappiamo che molti farmaci di uso comune, in particolare antibiotici e antiacidi, sono in grado di modificare in modo permanente il microbiota nativo.
Lo studio retrospettivo di coorte pubblicato da Gut ha preso in esame oltre 300.000 bambini su un gruppo di 745000 eligibili, nati tra il 2006 e il 2013, seguiti per almeno due anni, valutando l’esposizione a farmaci antiacidi (antiH2 e IPP) e antibiotici (diverse classi) prescritti nei primi 24 mesi di vita. Dalla coorte esaminata sono stati esclusi bambini prematuri, piccoli per l’età gestazionale o che avevano richiesto ricovero per un periodo superiore ai 7 gg.
I pazienti sono stati suddivisi in base al tipo di terapia con antiacidi e alla durata, in base al numero di cicli di antibiotico prescritti, oltre che al numero di antibiotici diversi (da 1 a 4 molecole) e alla eventuale prescrizione di più terapie in associazione tra loro. Sulla base delle misurazioni effettuate sono stati considerati affetti da obesità i pazienti che presentavano BMI superiore al 95° centile per età e sesso. Rispetto ai bambini che non avevano mai avuto un ciclo di terapia con i farmaci in esame, quelli trattati con antiacidi, antibiotici o entrambi hanno un maggiore rischio di presentare obesità. Per gli antiacidi si è evidenziato un aumento del rischio correlato al numero di cicli di terapia effettuata. Tutte le classi di antibiotici si sono dimostrate in grado di aumentare il rischio di obesità, con rischio correlato al numero di cicli e al numero di antibiotici diversi.
I risultati di questo studio aggiungono dati allo studio sui possibili rischi di obesità a lungo termine dopo una precoce esposizione ad antiacidi e antibiotici e aprono nuove prospettive alla ricerca epidemiologica sugli effetti della esposizione a farmaci per il riconoscimento di fattori modificabili di rischio per obesità.
Stark CM, Susi A, Emerick J, Nylund CM.
Antibiotic and acid-suppression medications during early childhood are associated with obesity.
Gut. 2019 Jan;68(1):62-69..
NESSUN CAMBIAMENTO DEL COMPORTAMENTO SESSUALE NELLE ADOLESCENTI DOPO L'INTRODUZIONE DELLA VACCINAZIONE ANTI-HPV
Scritto da FIMP NEWSA cura di M. Barretta, Area vaccini e Vaccinazioni FIMP
L’infezione da HPV rimane la causa più comune di infezione trasmessa sessualmente e può determinare tumori genitali, anali ed orofaringei in entrambi i sessi. Nonostante la disponibilità di un vaccino sicuro ed efficace nel prevenire l’infezione e la conseguente patologia oncologica, la copertura vaccinale rimane non ottimale per la presenza di diverse barriere che ne ostacolano l’accettazione.
Una delle preoccupazioni dei genitori è che la vaccinazione anti-HPV possa influenzare i comportamenti sessuali dei ragazzi incoraggiandone quelli più rischiosi (anticipo del primo rapporto sessuale, avere più partners sessuali e mancata protezione), questo perché il vaccino verrebbe percepito dai ragazzi come una sorta di protezione (detta anche compensazione del rischio o rischio di omeostasi).
Un recente studio pubblicato sul Canadian Medical Association Journal (1) ha smentito questa preoccupazione.
Gli autori della ricerca hanno analizzato le risposte ad un questionario di 300.000 ragazze tra i 12 ed i 18 anni, studenti di vari gradi in una provincia del Canada, la British Columbia. Il sondaggio, che include domande su salute e comportamenti a rischio, viene regolarmente condotto nelle scuole della provincia Canadese dal 1992 ogni 5-6 anni, pertanto è stato possibile analizzare le risposte prima e dopo l’inizio della campagna vaccinale iniziata nel 2008. Lo studio ha esaminato le risposte ai questionari di 123.166 ragazze (40.7%) nel 2003 e di 99.925 ragazze (33%) nel 2008 come gruppo pre-vaccinazione, e le risposte di 79.535 ragazze (26.3%) nel 2013 per il gruppo
post-vaccinazione.
I dati analizzati (figura 1) dimostrano che la vaccinazione HPV non è associata ad aumento dei comportamenti sessuali a rischio tra le adolescenti, anzi gli indicatori di salute sessuale delle ragazze vaccinate sono migliorati verso pratiche più sicure.
Tab.1 Indagini sui comportamenti sessuali di ragazze adolescenti canadesi negli anni 2003-2008-2013
La percentuale di ragazze che hanno dichiarato di aver avuto rapporti sessuali è scesa, negli anni successivi all’introduzione del vaccino, dal 21,3% nel 2003 al 18,3% nel 2013, e c’è stato un evidente calo delle adolescenti divenute sessualmente attive prima dei 14 anni (il 10,2% nel 2013 rispetto al 14.3% nel 2003). Non risulta, dalle risposte, variazione riguardo al numero dei partners sessuali.
Nel periodo post-vaccinazione sono aumentate le precauzioni verso pratiche sessuali più sicure, infatti nel 2013 è aumentata la percentuale dei rapporti protetti attraverso l’uso del preservativo (il 69% nel 2013 rispetto al 66% nel 2003) e dei contraccettivi orali (il 54.5% nel 2013 rispetto al 45% del 2003).
Lo studio evidenzia anche una riduzione delle gravidanze in età adolescenziale (il 3% nel 2013 verso il 6% nel 2003) ed un ridotto consumo di alcol e droga prima del rapporto sessuale (il 19.3% nel 2013 verso il 26% nel 2003).
Considerazioni:
1) Un punto di forza di questo studio è la dimensione del campione, l’alta percentuale di risposta ai questionari e la valutazione dei comportamenti sessuali nell’arco di un decennio, rispetto a ricerche precedenti che hanno valutato piccoli gruppi e per brevi periodi.
2) La ridotta percezione del rischio delle adolescenti dopo la vaccinazione anti-HPV non si correla con la teoria della compensazione del rischio.
3) La maggiore consapevolezza sessuale e la prevenzione del rapporto a rischio certamente non si possono associare al vaccino, ma probabilmente alla più completa informazione sulla prevenzione delle malattie trasmesse sessualmente, favorita dalla comunicazione in occasione della somministrazione del vaccino.
4) I risultati dello studio dovrebbero aiutare i pediatri e gli altri operatori a dissipare i timori dei genitori riguardo al comportamento sessuale dei loro ragazzi dopo la somministrazione del vaccino, anzi l’opportunità offerta dalla vaccinazione deve diventare un’ulteriore occasione per discutere di salute sessuale e di prevenzione anche verso altre malattie trasmesse sessualmente.
- Gina S. Ogilvie, Felicia Phan et al. Population-level sexual behaviours in adolescente girls before and after introduction of the human papillomavirus vaccine (2003-2013).
CMAJ 2018, October 15; 190:E1221-6
A cura di Emanuela Malorgio, coordinatrice nazionale gruppo di studio Sonno FIMP
Il modo in cui dormono i nostri ragazzi può influenzare la loro performance sportiva diurna ? È' una domanda interessante perché, se questa ipotesi fosse confermata, potrebbe essere un buon punto di riflessione da proporre a quei genitori che vedono nei propri figli futuri campioni di diverse discipline sportive.
Diciamo che potremmo sfruttare una lecita speranza genitoriale (talvolta non troppo educativa) per ottenere un effetto positivo, inducendo una maggior attenzione all’ educazione ad un buon sonno, attraverso poche regole di igiene del sonno valide per figli e genitori.
Anche Lauren Hale della Stony Brook università di New York si é posta la domanda iniziale ed ha condotto uno studio sulle performance di 112 giocatori professionisti di basket dell' NBA in un periodo tra il 2009 e il 2016, ponendole in relazione all'attività notturna con device e alla conseguente deprivazione di sonno. La ricercatrice ha considerato diversi outcome (punti partita, palle perse, precisione tiri falli, etc), analizzando solo le partite giocate in casa, per eliminare il fattore confondente del viaggio.
I risultati ottenuti hanno evidenziato come l'attività serale e notturna con device e la conseguente deprivazione di sonno determina un ridotta performance degli atleti in gara, con particolare riduzione dei punti partita, della precisione di tiro e dei numero di rimbalzi recuperati.
Questo articolo può darci ulteriori argomenti per convincere i genitori ad essere educatori del " buon sonno" per i propri figli , in particolare evitando l' uso di device nelle ore notturne, allontanando tali strumenti dalle stanze dei ragazzi e dai loro comodini durante la notte, anche per un miglioramento delle performance sportive... Sottolineando sempre e comunque che lo sport deve essere prima di tutto movimento e divertimento.
Buona lettura
Un anno fa la Mondadori ha pubblicato un libro dal titolo molto accattivante " La Scienza che Allunga la Vita – La rivoluzione dei telomeri ” . Le autrici di questo libro sono una biologa molecolare Elizabeth Helen Blackburn e una psicologa Elissa Epel . Elizabeth Helen Blackburn ha dedicato la sua intera vita professionale allo studio dei telomeri, nel 2009 ha ricevuto il Premio Nobel per la medicina assieme a Jack W. Szostak ed a Carol Greider per i loro studi sulla funzione svolta dai telomeri e dall'enzima telomerasi. Elissa Epel invece, si è sempre interessata dello stress psicologico e dei suoi effetti sulla salute. Le due ricercatrici,diverse per formazione ed esperienza professionale, hanno cercato di dare al lettore una spiegazione semplice, ma sostenuta da solide evidenze scientifiche, della ragione perché non tutti invecchiamo nello stesso modo, cercando nel contempo di dare preziosi consigli per giungere alla vecchiaia in buone condizioni fisiche e mentali. L'invecchiamento, sottolineano le autrici, non è un percorso geneticamente programmato per ogni individuo ma è un processo dinamico che può essere accelerato, rallentato o addirittura invertito dal nostro stile di vita. Tutti invecchiamo, in che modo dipende molto dalla salute delle nostre cellule, ma anche dai nostri telomeri e dalle telomerasi. I telomeri sono strutture localizzate all’estremità dei cromosomi il cui compito è proteggere il cromosoma stesso al fine di evitarne il deterioramento. Negli organismi eucarioti pluricellulari, la replicazione del DNA avviene durante il ciclo cellulare. Da una doppia elica di DNA “madre” si ottengono due doppie eliche di DNA “figlio”, la DNA polimerasi è l’enzima chiave della replicazione, ma ha un limite: non è in grado di replicare il DNA fino alla sua parte terminale. Interviene in questa fase la telomerasi, un grande complesso di proteine-RNA, che riconosce le sequenze telomeriche che compongono le parti terminali del DNA cromosomico evitando il danneggiamento e la perdita delle regioni terminali propriamente codificanti. Fino a poco tempo fa si riteneva che le sequenze telomeriche non codificassero per nessuna proteina (venivano infatti dette nonsense), oggi sappiamo che i telomeri sintetizzano molecole di RNA dette TERRA (TElomeric Repeat containing RNA) che si pensa servano proprio a regolare l’azione della telomerasi stessa. Ciò nonostante si è osservato che ad ogni divisione cellulare, i telomeri vanno incontro ad un fisiologico processo di accorciamento,l’accelerazione di questo processo può indurre una senescenza replicativa, che blocca la divisione cellulare e compromettere la funzione immunitaria. Addirittura se i telomeri diventano troppo brevi, la cellula può riconoscerli come danno del DNA e quindi smettere di crescere, entrare nella vecchiaia cellulare (senescenza) o avviare l'autodistruzione delle cellule programmate (apoptosi) a seconda dello stato genetico della cellula. Provare ad arrestare o rallentare l’accorciamento dei telomeri, come già detto, può essere un potente mezzo per rallentare l'invecchiamento. Si è scoperto infatti che questo processo non è dettato solo dal nostro genoma ma è influenzato dallo stress, dall’ambiente dove viviamo, dalla nostra capacità di reagire alle emozioni, dallo stile di vita che conduciamo. Molte sono le conferme di quanto esposto dalle due autrici, e molti dei risultati ottenuti da vari ricercatori interessano anche il mondo pediatrico. Stacy Drury, psichiatra, ricercatrice della Tulane University di New Orleans ha condotto una ricerca che ha coinvolto 136 orfani, di età compresa tra i 6 e i 30 mesi, ospiti degli orfanotrofi rumeni. Metà di loro ha continuato a vivere in orfanotrofio e metà è stata affidata a una famiglia adottiva, analizzando il DNA di questi bambini tra il sesto e il decimo anno di età si è scoperto che tanto più a lungo i piccoli avevano vissuto in orfanotrofio, tanto più corti erano i loro telomeri. Lo studio pubblicato recentemente sulla rivista Molecular Psychiatry conferma che stress emotivi, carenze affettive possono interferire con il normale funzionamento dei telomeri. Un altro interessante studio, pubblicato nel 2017 su The Journal of Pediatrics, è stato condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Princeton (New Jersey, Stati Uniti) coordinati dai professori Sarah James e Daniel Notterman , ha coinvolto circa 1600 bambini (tutti di 9 anni) provenienti da varie città degli Stati Uniti ed ha messo a confronto ore di sonno e lunghezza dei telomeri. Dalle analisi di laboratorio è emerso che per ogni ora di sonno perduta dai bambini, rispetto alle ore quotidiane raccomandate per questa fascia di età, i loro telomeri si erano ridotti dell'1,5 percento. Le condizioni generali di salute dei bambini erano buone, ma i ricercatori evidenziano che questa variazione è comunque da attenzionare a distanza ,in quanto l'accorciamento dei telomeri è un fenomeno associato non solo alla senescenza ma anche ai deficit cognitivi e a molte altre patologie. Il sonno quindi, riprendendo una affermazione di William Shakespeare, è nutrimento di vita, alla luce dei risultati di questa ricerca è anche nutrimento dei nostri telomeri e garanzia di salute e longevità cellulare.
Eliana Liotta
“L’età non è uguale per tutti”
La nave di Teseo, maggio 2018. 18 euro.
Si può dilatare la giovinezza? E invertire il processo di invecchiamento? La risposta è sì, l’età non è uguale per tutti. Questo libro racconta come educare se stessi a restare giovani, nel corpo e nello spirito. La chiave per restare giovani è spegnere l’infiammazione, gettare acqua sui piccoli fuochi che ardono dentro di noi. Eliana Liotta, giornalista, blogger e divulgatrice scientifica, grazie al contributo multidisciplinare dei medici ed i ricercatori dell’ospedale universitario Humanitas, racconta come in un romanzo, ma con solide evidenze scientifiche, i mille fuochi che ardono nel nostro corpo, con i soldati del sistema immunitario ingaggiati in una guerra quotidiana. Nella seconda parte del libro, ogni lettore troverà una guida facile e pratica, per applicare alla propria quotidianità i risultati delle ricerche scientifiche: dalla dieta antinfiammatoria, con i cibi smart della giovinezza (i frutti rossi della copertina ne sono un esempio), agli esercizi (anche quelli per il cervello) e ai consigli contro lo stress.
A chi e perché consigliare questo libro? Sicuramente ai pediatri con i capelli grigi, e sono molti, ma soprattutto per ricordare che i corretti stili di vita si trasmettono e si imparano già dai primi anni di vita, e quindi il pediatra contribuisce ad un buon invecchiamento…
Fabrizio Fusco
Nel 1987 un ricercatore giapponese dell‘Università di Osaka, Yoshizumi Ishino, descrisse per la prima volta un meccanismo immunitario utilizzato da alcuni batteri per difendersi dai virus. Questi batteri contengono dei frammenti di RNA "guida” noti come CRISPR, che sono in grado di riconoscere le sequenze di un DNA estraneo e una volta riconosciuto spingono su di esso un enzima detto Cas (CRISPR-associated), una endonucleasi che, funzionando come un paio di forbici, taglia il DNA dell’intruso, impedendone la replicazione. In anni recenti, nel 2012, i gruppi di ricerca di Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier sono riusciti a sfruttare questo sistema di difesa naturale per introdurre modifiche specifiche nel genoma di organismi molto più complessi dei batteri, come animali e piante. Il sistema CRISPR dopo il taglio da parte dell’enzima Cas, viene associato ad un meccanismo di riparazione, chiamato “ricombinazione omologa”, che permette di riparare il taglio e di inserire le sequenze desiderate. Questa operazione di ingegneria genetica da la possibilità di correggere mutazioni che causano malattie genetiche o generare nuove difese, come i linfociti T resistenti all’HIV. In ambito vegetale, il sistema CRISPR/Cas ha permesso di generare piante con migliori caratteristiche nutrizionali o resistenti a patogeni. Abbiamo quindi a disposizione un correttore genomico ad alta precisione potenzialmente in grado di prevenire e curare molte delle patologie genetiche rare finora conosciute. Nel 2015 un’équipe cinese diretta da Junjiu Huang ha provato a correggere la mutazione genica della beta talassemia in embrioni umani non vitali, ovvero destinati alla ricerca e non in grado di svilupparsi, ma i risultati non sono stati particolarmente incoraggianti. Solo in alcuni degli embrioni sottoposti a taglio CRISPR/Cas e ricombinazione omologa si era ottenuto la correzione genica desiderata, mentre in molti embrioni si è osservato un alto numero di mutazioni indesiderate potenzialmente dannose. Lo studio inoltre ha sollevato importanti problemi di natura etica. Tuttora ci si chiede se sia lecito effettuare modifiche genetiche sull’uomo, anche se solo a scopo terapeutico o di ricerca. Alcune prestigiose riviste come Nature e Science sembra che abbiano rifiutato la pubblicazione della ricerca proprio per queste motivazioni. Ma questi dubbi non hanno fermato l’uso di questa tecnica sul genoma umano, è di questi giorni la notizia che uno scienziato cinese He Jiankui, ha dichiarato di essere riuscito a generare in due embrioni la capacità di resistere all’infezione da HIV trasmessa dai genitori. Questa comunicazione ha suscitato molte perplessità in quanto la ricerca non è stata pubblicata su nessuna rivista scientifica, ma soprattutto ha riaperto un aspro dibattito sul difficile rapporto tra scienza ed etica. Oggi più che in passato un medico deve avere piena coscienza del proprio operare, non può limitarsi ad affrontare il problema contingente ma deve saper guardare oltre, come ammoniva il grande filosofo Claude Lévi-Strauss “Lo scienziato non è l’uomo che fornisce le vere risposte; è quello che pone le vere domande…”
Altro...
A cura di E. Malorgio, coordinatrice nazionale FIMP per il gruppo di studio sul SONNO
La Melatonina è una delle sostanze sintetiche maggiormente utilizzate per i disturbi del sonno in età pediatrica. Tuttavia alcuni articoli evidenziano che più del 50% dei pediatri che utilizza tale integratore non è soddisfatto dei risultati ottenuti e quasi la stessa percentuale dichiara di conoscere poco la molecola e le sue caratteristiche.
Negli ultimi mesi in più occasioni abbiamo avuto modo di condividere con alcuni di voi poche ma spero chiare informazioni sulla molecola, mirate ad un utilizzo corretto della stessa in quei bambini che presentano un quadro di insonnia.
Al link troverete le slide di relazione rivolta proprio ad aumentare le conoscenze circa le caratteristiche della melatonina. Di tale relazione i messaggi da ricordare possono essere riassunti cosi:
- Usiamo la Melatonina dopo i 6 mesi
- Usiamola per l’insonnia da difficoltà di addormentamento
- Usiamo la Melatonina sempre e solo dopo o in associazione alla revisione dell’igiene del sonno che deve essere modificata dove si rileva errata, e alle terapie comportamentali dove queste possano risultare utili, Mai consigliare la Melatonina in modo “isolato”.
- Scegliamo l’ora di somministrazione avendo prima identificato la “finestra del sonno” del piccolo (finestra del sonno è il momento in cui il bimbo si addormenterebbe se non stimolato da eventi esterni). Questa informazione si può ottenere dai genitori chiedendo di osservare il proprio figlio e di annotare per almeno una settimana l’ora in cui inizia a sbadigliare, a stropicciarsi gli occhi o a dimostrare segni di stanchezza.
- La somministrazione dovrebbe precedere di un ora la “finestra del sonno”
- La dose iniziale può essere di 1 mg
- Massima attenzione ai prodotti che contengono melatonina: non farli comprare su internet e scegliere marche di ditte che riteniamo “serie”
A cura di Adima Lamborghini, coordinatrice nazionale FIMP gruppo di studio Obesità Infantile
La correlazione tra obesità e introito giornaliero di calorie è un fattore noto, così come l’effetto protettivo di uno stile alimentare “sano”, ricco di frutta, verdura e alimenti non processati. Nonostante queste conoscenze gli studi riportano ancora un eccessivo consumo di zuccheri semplici, con effetti negativi sull’aderenza a stili alimentari corretti. Lo studio di Dello Russo et al., pubblicato su Nutrients, ha esaminato l’effetto dell’aggiunta di piccole quantità di zuccheri semplici, sotto forma di saccarosio, cioccolato in polvere o miele, ad alimenti consigliati quali latte o frutta, in una coorte di bambini (6929 soggetti, di età compresa tra 2 e 10 anni) partecipanti allo studio IDEFICS.
In tutti i partecipanti all’inizio dello studio e dopo 2 anni, sono stati valutati i parametri auxologici e gli intake alimentari, attraverso l’utilizzo di un questionario validato (CEHQ-FFQ) studiato per identificare gli apporti di 14 gruppi di alimenti.
All’inizio dello studio non è stata trovata alcuna correlazione tra gli indici di adiposità e l’abitudine all’utilizzo dello zucchero in aggiunta a frutta e latte, ma in tutti i gruppi di età questo pattern alimentare era inversamente correlato alla aderenza alle raccomandazioni nutrizionali.
Al follow-up effettuato dopo due anni nei bambini più piccoli (2-<6 anni) tutte le misure antropometriche erano significativamente maggiori nei soggetti con più alta assunzione di zuccheri , mentre nella fascia di età 6-10 anni erano presenti differenze tra maschi e femmine. Nei maschi tutti i parametri antropometrici correlavano positivamente con l’assunzione di zuccheri, mentre nelle femmine questo era significativo solo per la misura della circonferenza addominale. In tutti i gruppi l’assunzione di zuccheri era correlata negativamente ai parametri indicativi di sana alimentazione.
Lo studio evidenzia che, mentre sono noti gli effetti di una dieta ricca di alimenti ad alta densità energetica, con elevata quota di zuccheri , anche l’aggiunta di zuccheri semplici ad alimenti “sani” determina un aumento dell’adiposità soprattutto nella fascia di età 6-10 anni. Appare interessante il fatto che nelle fasce di età più basse non è cosi evidente questa associazione, attribuita alla maggiore necessità di calorie . L’innata preferenza dei bambini più piccoli per il gusto dolce avrebbe in questa età un effetto protettivo, che poi scompare nelle età successive. E’ interessante che in tutte le età esaminate, l’abitudine all’aggiunta di zuccheri semplici è associata ad una minore aderenza alle linee guida per una sana alimentazione, che permane anche con la crescita.
Lo studio conclude osservando che , data la naturale preferenza dei bambini per il gusto dolce, i genitori sono tentati dall’aggiunta di zuccheri a cibi “sani” , soprattutto latte e frutta, per favorirne o aumentarne il consumo, abitudine che deve essere scoraggiata per gli effetti negativi sull’aderenza ad uno stile alimentare corretto.
Marika Dello Russo , Wolfgang Ahrens, Stefaan De Henauw , Gabriele Eiben ,
Antje Hebestreit , Yannis Kourides , Lauren Lissner , Denes Molnar , Luis A. Moreno ,
Valeria Pala , Toomas Veidebaum , Alfonso Siani , Paola Russo and on behalf of the
IDEFICS Consortium
The Impact of Adding Sugars to Milk and Fruit on Adiposity and Diet Quality in Children:
A Cross-Sectional and Longitudinal Analysis of the Identification and Prevention of Dietary- and
Lifestyle-Induced Health Effects in Children andInfants (IDEFICS) Study. Nutrients 2018, 10, 1350
La Dieta Mediterranea nel primo anno di vita: effetti a medio e lungo termine
Scritto da FIMP NEWSA cura di Raffaella De Franchis, coordinatrice gruppo di lavoro Dieta Mediterranea in pediatria, Centro Studi Scientifico FIMP Napoli
La Dieta Mediterranea rappresenta il gold standard dell’alimentazione del bambino.
L’alimentazione complementare, durante i primi mille giorni, è un’opportunità unica nelle mani del Pediatra di Famiglia per poter insegnare al lattante a mangiare secondo
lo stile mediterraneo.
Nel 2015, è nato presso la Fimp Napoli, il gruppo di lavoro denominato “Dieta Mediterranea in Pediatria”, costituito da 18 Pediatri di Famiglia della provincia di Napoli, coordinati dalla dott.ssa Raffaella de Franchis, che sta svolgendo un interessante progetto di ricerca.
Il Gruppo di Lavoro “Dieta Mediterranea (DM) in Pediatria” sta realizzando uno studio caso/controllo. La finalità primaria è verificare l’aderenza alla DM a 36 mesi in bambini svezzati con cibi tipici della Dieta Mediterranea. Tale gruppo di lattanti “casi” viene paragonato ad un gruppo “controllo” svezzato secondo gli schemi tradizionali.
Fine secondario dello studio è il riavvicinamento di intere famiglie alla DM.
La rilevazione dei dati avviene attraverso questionari validati. Il “kidmed” valuta, attraverso 16 quesiti, se il bambino mangia mediterraneo.
T0 (tempo 0). Le madri, mostrano spontaneamente comportamenti virtuosi per quanto riguarda l’utilizzo quotidiano di olio extravergine d’oliva (90%) e l’assunzione trisettimanale di legumi (80%); bassa risulta invece la loro assunzione quotidiana di frutta (47% tre porzioni al giorno), verdura (58% due porzioni al giorno), pesce (poco più del 40% tre porzioni alla settimana) e di frutta secca (meno del 20% una porzione alla settimana).
T12 (12 mesi). Esiste una correlazione tra istruzione materna e aderenza alla DM del figlio. La percentuale dei bambini svezzati con Dieta Mediterranea che mantengono aderenza a tale schema a 12 mesi, è oltre il 95%. Tuttavia, analizzando i singoli items del kidmed il 2.7 % di bambini a 12 mesi frequenta i fast food, fa colazione con pasticceria industriale (17.9%) o mangia dolciumi durante la giornata (9.3%).
T24 (24 mesi). Esiste una differenza significativa tra aderenza DM dei casi e dei controlli (p<0,001) ed una significativa percentuale di bambini che mangiano seduti a tavola con i genitori rispetto ai controlli (p<0,001). Anche a questa età, si rilevano differenze significative tra casi e controlli: l’abitudine ad assumere una seconda porzione di frutta (p<0,001); la singola assunzione quotidiana di verdure (p 0,022); l’assunzione di verdure più di una volta al giorno (p 0,003;) il consumo di pesce 2-3 volte alla settimana (p 0,011). I bambini svezzati con DM che non frequentano i fast food risultano più numerosi (p 0,002) come coloro che consumano frutta secca (p<0,001). L’utilizzo di pasticceria industriale a colazione o di dolciumi durante la giornata risulta più bassa nei bambini svezzati con DM (p<0,001).
Tali risultati sono stati presentati al congresso annuale dell’ESPGHAN, (Ginevra, maggio 2018), al XXV Congresso Nazionale SIGENP, Salerno 4-6 ottobre 2018 e verranno mostrati nuovamente all’VIII conferenza EGEA 2018 (Lione, novembre 2018).
Il manuale “La Dieta Mediterranea nel primo anno di vita”, è stato presentato a Milano ad EXPO 2015 e distribuito al X Congresso Nazionale Fimp. Supportato dalla Sezione Agro Alimentare dell’Unione Industriali di Napoli, con cui FIMP Napoli ha stipulato un protocollo d’intesa, è il presupposto di nuove future collaborazioni.
A febbraio 2019 verrà edito il secondo manuale "La Dieta Mediterranea. Tra scienza e pratica", già consegnato all’Editore Guida, che rappresenta il prosieguo del primo.
I risultati T36 (36 mesi) sono particolarmente attesi. Essi consentiranno di individuare nuove strategie d’azione per la divulgazione precoce di corretti stili alimentari.