FIMP NEWS

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Roma, 2 aprile 2020 – “A questo punto dell’epidemia non condividiamo la tesi di chi afferma che i tamponi sui bambini debbano essere eseguiti solo in caso di febbre che perduri elevata per tanti giorni o di sintomi gravi. Il tampone sui bambini non serve di per sé ai bambini stessi, che nella stragrande maggioranza dei casi manifestano la COVID-19 con sintomi medio-lievi, ma è necessario per mettere in evidenza il pericoloso fenomeno della diffusione intra-familiare dell’infezione da parte di adulti asintomatici, pre-sintomatici o pauci-sintomatici. I bambini sono chiusi in casa ormai da settimane. Se manifestano sintomi di infezione ascrivibili a sintomi “influenzali” (anche non gravi) devono essere considerati casi sentinella di un possibile trasmissione intra-familiare del SARS-CoV-2, anche se gli adulti con cui convivono risultano asintomatici. Eseguire tamponi e analisi sierologiche sul cluster familiare ci aiuta a rilevare i positivi e gli immuni, ovvero a mappare l’epidemia e a pensare al futuro. Partiamo dalle famiglie per censire la diffusione del virus sul territorio, senza rompere l’isolamento domestico e rischiare di amplificare il contagio”. Questo l’appello di Paolo Biasci, Presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri.
“Abbiamo predisposto una nuova flow-chart per i pediatri di famiglia - prosegue Mattia Doria, Segretario nazionale alle Attività Scientifiche ed Etiche della FIMP -. In presenza di segni di infezione non riconducibili in maniera evidente ad altre malattie, dobbiamo trattare il bambino come caso sospetto di Covid-19. Dobbiamo esercitare il principio di precauzione e assumere, per prudenza, che tutte le patologie acute che insorgono nei più piccoli in un periodo di mancata esposizione sociale tranne gli stretti conviventi, siano infezioni da Covid-19 fino a prova contraria. Ciò che è sempre più importante, con l’evolversi dell’epidemia, non è più o non solo il riconoscimento dei pazienti gravi ma l’interruzione della circolazione del virus tra la popolazione apparentemente sana”.
“L’isolamento domestico, nel panorama epidemiologico attuale caratterizzato dal crollo dell’epidemia influenzale stagionale e dalla netta riduzione delle altre patologie infettive e di organo - riprende Biasci - è un elemento importante per definire la linea di contagio. Il bambino con sintomi infettivi, anche lievi o aspecifici, può essere infatti il primo segnale di diffusione del virus in un possibile contesto familiare di genitori positivi asintomatici che, se non riconosciuto, continueranno inconsapevolmente a uscire di casa e ad avere contatti sociali nei contesti più comuni, dal lavoro alla spesa al supermercato”.
“L’evoluzione epidemiologica pediatrica dell’infezione da Covid-19, al di là di sporadici casi letali segnalati negli USA e in alcuni Paesi Europei - spiega Doria - si conferma essere caratterizzata da una sintomatologia prevalentemente di gravità medio-lieve, che si manifesta anche con segni e sintomi non di tipo respiratorio. Sintomi che devono essere considerati con attenzione all’interno del triage telefonico con il genitore e il monitoraggio clinico delle condizioni di salute”.
“L'esperienza che stiamo raccogliendo sul campo con il coinvolgimento di migliaia di pediatri di famiglia – sottolinea il Presidente Biasci - mette in evidenza che il diffondersi dell'epidemia di Covid-19 ha determinato un deciso sovvertimento di approcci clinico-assistenziali consolidati, sia per i servizi sanitari pubblici che per i medici delle cure primarie, costringendo a cambiarli, anche rapidamente, più volte nel divenire della situazione epidemiologica. In non pochi casi la diagnosi di positività al Covid-19 nei genitori e gli adulti conviventi e in un secondo momento dei figli nostri assistiti, è avvenuta senza che sia stata documentata un’esposizione certa a situazioni o rischi identificabili con il triage telefonico. Questo è il segno che il contagio si è verificato casualmente, in modo non prevedibile, nei luoghi frequentati dagli adulti”.
“In un contesto di circolazione del virus, attualmente non controllata e di diffusione locale dell’infezione – conclude Biasci – per contribuire in modo significativo al contenimento della diffusione del contagio, si rende sempre più necessario segnalare i bambini sospetti ai Servizi Sanitari locali, secondo le modalità attivate dalle Regioni e Province autonome, per favorire l’esecuzione del test diagnostico anche sui familiari. In questa emergenza, rinnoviamo l’appello alle istituzioni sanitarie italiane e alla task-force nazionale di volerci considerare a disposizione per contribuire ad un approccio all’epidemia a 360°: per ridurre l’accesso ai Pronto Soccorso e il rischio di ricorso alle Terapie Intensive dobbiamo sempre più e sempre meglio lavorare sulla prevenzione e sull’intercettazione precoce”.
 

Roma, 1° aprile 2020 – “Le scadenze vaccinali del ciclo primario, comprendente anche i vaccini combinati del secondo anno di vita, vanno rispettate pur, ma diremmo soprattutto, nell’emergenza Covid-19. Possiamo invece rinviare i richiami, per evitare spostamenti della popolazione e limitare gli accessi anche nei nostri studi. Come pediatri di famiglia ci rendiamo disponibili ad alleggerire i centri regionali, ora assorbiti soprattutto dall’esecuzione di tamponi per le diagnosi di Covid-19. Siamo senz’altro in grado di occuparci direttamente della somministrazione dei vaccini ai nostri pazienti”. Così Paolo Biasci, Presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri, all’indomani della diffusione delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in tema di pratica vaccinale in questo periodo di emergenza.

“Abbiamo elaborato una guida rivolta a tutti i pediatri di famiglia italiani, operanti nei loro oltre 7.000 studi, per uniformare le linee di indirizzo a livello nazionale – afferma Biasci -. Proteggere i bambini da malattie che è possibile non contrarre semplicemente grazie a vaccino, ci risparmia costi umani, sociali ed economici. Evitiamo infatti la sofferenza dei più piccoli, le complicanze (talvolta gravi), il contagio degli adulti, le giornate di lavoro perse da parte dei genitori. In un momento di incredibili pressioni sul Servizio Sanitario Nazionale, dobbiamo proteggere i bambini, anche per tutelare tutto il mondo di relazioni sociali che intorno a loro ruota”.
“Insieme alle scadenze del ciclo primario - spiega Giorgio Conforti, Coordinatore Area Vaccini e Vaccinazioni FIMP - riteniamo opportuno mantenere anche la protezione contro le gastroenteriti da Rotavirus, data la possibile presentazione clinica del Covid-19 con manifestazioni gastroenteriche. Limitiamo fortemente così un’interferenza diagnostica e una comorbilità dall’impatto clinico rilevante. Peraltro tale vaccino può essere somministrato con gli altri del ciclo primario e non comporta accessi ulteriori.
Raccomandiamo inoltre la somministrazione del vaccino anti-meningococco B introdotto nei LEA dal 2017, e iniziando dal terzo mese, in considerazione della maggiore incidenza, per numero e gravità dei casi, nei primi 24 mesi di vita. Anche il vaccino anti-meningococco C o il quadrivalente (ACWY) può essere co-somministrato col già raccomandato tetravalente MPRV, completando così la protezione verso gravi patologie invasive”.

“L’Organizzazione Mondiale della Sanità – sottolinea Biasci - indica inoltre come priorità la sicurezza degli accessi e invita a favorire l’implementazione di sedi vaccinali alternative, dove venga garantita la chiamata attiva, la distanza fra utenti, la vaccinazione in concomitanza con bilanci di salute. Come Fimp riteniamo opportuno un coinvolgimento in ambito regionale nella pratica vaccinale della Pediatria di libera scelta. Le raccomandazioni dell’OMS sono infatti più facilmente attuabili presso i nostri ambulatori, come del resto dimostra quanto già sperimentato da anni in alcune Regioni. Queste indicazioni permetteranno anche un minor sforzo in fase post-epidemica per il recupero dei vaccini che si saranno rimandati, non considerando tale pratica opportuna in fase di epidemia da COVID 19”.

“Alla luce dell’emergenza Covid-19 – prosegue Biasci – dobbiamo pensare già alla prossima campagna vaccinale contro l’influenza stagionale, perché questo è il momento in cui si iniziano a calcolare i necessari approvvigionamenti di scorte di dosi. Il nostro appello è affinché si consideri indispensabile attuare in età pediatrica la vaccinazione anti-influenzale universale, a partire dal prossimo autunno. Dobbiamo avere una visione prospettica e immaginare anche la possibile ricomparsa di una nuova ondata di Covid-19, non distinguibile clinicamente, specie nel setting extraospedaliero iniziale”.

“Dobbiamo infatti ricordare – dichiara Biasci – che, come rileva l’Istituto Superiore di Sanità, la frequenza con cui in Italia insorgono casi di influenza, si aggira mediamente intorno al 9% annuo (ma il range va dal 4-15%) della popolazione generale. Nella fascia d’età 0–14 anni, che è quella più colpita, l’incidenza, mediamente, è pari a circa il 26% (12-40%). In alcuni casi possono verificarsi complicanze gravi o la morte nelle persone ad alto rischio, fra le quali compaiono anche i bambini fra i 6 mesi e i 5 anni. L’aggravamento più comune è la sovrapposizione di un’infezione batterica a carico del sistema respiratorio (bronchite che può sfociare in polmonite), dell’apparato cardiovascolare (miocardite), del sistema nervoso e dell’orecchio (otite e sinusite). Secondo le stime dei ricercatori dell’Iss, ogni anno muoiono circa 8mila persone in Italia a causa delle complicanze dell’influenza stagionale (con punte di 12mila decessi in alcune annate)”.

“Pertanto – conclude Biasci - dobbiamo sostenere la fiducia delle famiglie nell'efficacia dell’immunizzazione e nel nostro prezioso e fragile Servizio Sanitario Nazionale, di cui anche le Cure Primarie fanno parte. Per il Covid-19 il vaccino non c’è ancora. Ma per l’influenza stagionale e per numerose altre patologie, sì. Non dimentichiamolo e programmiamo ora per essere pronti domani”.

Giovedì, 06 Febbraio 2020 10:53

RECENSIONE DEL MESE

A cura di Fabrizio Fusco, pediatra di famiglia, Valdagno (Vi)

 

 

 

SVEGLIAMI A MEZZANOTTE

di Fuani Marino, Einaudi, 2019. 17 euro

“Svegliami a mezzanotte” racconta di una caduta, metaforica ma purtroppo anche reale. È la storia di una mamma che ha partorito da pochi mesi e che in un assolato pomeriggio d’estate decide di togliersi la vita gettandosi dal quarto piano di una palazzina ma incredibilmente sopravvive al proprio suicidio. È singolare che si possa scrivere del proprio suicidio, ma è di questo che Fuani ci parla. C’è un prima (della caduta), una adolescenza inquieta e turbolenta, una esperienza lavorativa ed un matrimonio con le loro difficoltà e soprattutto una gravidanza vissuta con crescente ansia. Ansia e depressione che sono stati ancora più evidenti dopo il parto, segnali che avrebbero dovuto essere colti e avrebbero dovuto portare ad un aiuto concreto. Ma spesso è più facile far finta di non vedere.

Il tema è scottante e ci coinvolge emotivamente come lettori, oltre che come pediatri.

Mi ha confidato Fuani, il cui libro presenterò a breve a Valdagno, “Non dimenticherò mai un pediatra che venne a visitare mia figlia non appena tornò a casa dalla TIN. Io stavo già molto male e gli parlai delle mie difficoltà, alle quali lui rispose dicendo che adesso, avendo una bambina, non potevo permettermi "il lusso" di essere depressa. Magari era una frase detta in buona fede, nella speranza che io potessi riprendermi al più presto e nel migliore dei modi, e tuttavia quanta superficialità!”

C’è un dopo (la caduta) ed è il lungo percorso di “ricostruzione, fisica (non si contano gli interventi subiti dopo il politrauma da precipitazione) ma soprattutto psichica. L’Autrice è tuttora affetta da un disturbo bipolare in cui si alternano periodi di euforia ed intensa creatività ad altri di ipomania ad altri di franca depressione, che tiene a bada grazie all’onesto aiuto di psichiatri, psicofarmaci e tanta ostinazione ed impegno. “Certi giorni è come se non mi svegliassi mai. Il letto mi risucchia…Una intera famiglia sotto scacco, in balia dei miei orari assurdi…svegliami in tempo utile. Ma l’ora che preferisco è mezzanotte”.

Fuani Marino (neologismo dalla fusione dei nomi dei suoi genitori, FUrio e ANIta), giornalista e scrittrice napoletana, scrive in maniera molto lucida e puntuale, senza alcuna autoindulgenza, anzi spesso con autoironia, questo memoir , un vero pugno allo stomaco. Il libro è anche la storia culturale di come letteratura, arte e cinema hanno raccontato il disturbo bipolare dell’umore ed il suicidio, da Anna Karenina a Madame Bovary (ci sono 4 pagine finali di densa bibliografia di riferimento).

Scrive nella prefazione Fuani Marino: “Ci sono voluti molti anni di terapia, per capire che in quel letto di ospedale ci ero finita perché qualcosa di terribile mi era accaduto, qualcosa di cui non avevo colpa e che avevo dovuto affrontare. Una volta acquisita questa consapevolezza…cominciai a pensare che raccontare la mia storia fosse allo stesso tempo un dovere e un’opportunità”.

C’è una ultima considerazione, verso la fine del libro: la malattia mentale, un po’ come avviene per altre “brutte” malattie (il cancro, l’AIDS…) spesso deve essere nascosta come qualcosa di colpevole e vergognoso. Fuani si augura che, anche grazie alla sua testimonianza, si infranga questo tabù, scompaia questo stigma, che circonda il malato mentale, un po’ come sta già succedendo per i tumori, grazie al coraggioso coming out di chi ne soffre. E noi, cerchiamo di essere attenti e non far finta di non vedere…

Giovedì, 06 Febbraio 2020 10:46

IL PROGETTO “PERLE E DELFINI”

A cura di Rita Tanas, pediatra endocrinologa, Ferrara

 

Questo progetto di cura del bambino obeso inizia con una fase di avvio più impegnativa ed una successiva della durata totale di 2-3 anni e può essere realizzato dal pediatra di famiglia in collaborazione con un pediatra endocrinologo (“obesologo”) o dal pediatra di famiglia da solo (con adattamenti in base alla sua formazione e organizzazione di spazi e tempi di lavoro). Le 2 fasi sono così strutturate:

  1. Fase di Avvio al cambiamento, a sua volta composta da quattro momenti terapeutici strategici, da realizzarsi nell’arco di due, tre mesi:
    1. Visita iniziale condotta al fine di ritrovare la necessaria fiducia e proporre la nuova strategia, raccogliendo i dati utili ad evidenziare successivamente i piccoli cambiamenti comportamentali e fisici realizzati;
    2. Lettura di un libro di auto-aiuto per i genitori;
    3. Incontro educativo familiare di gruppo sullo stile di vita.
    4. Valutazione dei primi successi, anche piccoli, sul cambiamento dei comportamenti e loro rinforzo positivo dopo due mesi circa.

  1. Follow-up: prevede due o tre visite nel primo anno, una o due all’anno nel secondo e nel terzo; contatti professionali più frequenti per gli adolescenti e i bambini con obesità grave e/o complicata. In alcune circostanze possono essere utili SMS, e-mail e messaggi in rete personalizzati per favorire il sostegno alla motivazione e l’adesione alla cura.

Altre figure professionali come psicologo, dietista e facilitatore motorio, se disponibili e formate al progetto, possono essere d’aiuto, secondo le diverse necessità di ogni famiglia. Il Pediatra deve prendere consapevolezza dell’ambiente stigmatizzante, in cui vive il bambino, di cui anche lui, come tutti, è involontariamente e spesso inconsapevolmente partecipe. Numerosi studi dimostrano che lo stigma sul peso porta al rifiuto delle cure o ne riduce i risultati, causa depressione, ansia, riduce le capacità cognitive ed aumenta i disturbi del comportamento alimentare, divenuti epidemici. Senza la consapevolezza di questo aspetto, il Pediatra non può avvertire la sofferenza del suo paziente né aiutarlo. Lo psicologo ha il compito di sostenere tutti i professionisti e gli educatori coinvolti nella cura, compresi gli insegnanti e i genitori, aiutandoli ad accrescere le loro competenze, seguendo le famiglie più fragili, che necessitano di un intervento individuale per realizzare un ambiente più sereno, nonostante i loro problemi: povertà, lutti, separazioni, malattie fisiche e psichiche.

I soggetti a rischio di disturbo alimentare o con importante insoddisfazione verso la propria immagine corporea o altra patologia psichiatrica vengono indirizzati a programmi multidisciplinari dedicati.

Con le prossime Newsletter di racconteremo storie di bambini e famiglie che hanno fatto questo percorso.

Se vuoi saperne di più vai al sito www.perledelfini.it o leggi il libro “Perle e Delfini” https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/medicina-e-salute/397331/perle-e-delfini-2/.

Giovedì, 06 Febbraio 2020 09:27

ASCOLTA, SENTI ANCHE TU, PREVIENI CON NOI.

A cura di Giovanni Lenzi, Gruppo di Studio Audiologia

 

Concluso il corso teorico-pratico di audiologia per pediatri di famiglia, presso il Santobono-Pausilipon. Organizzato il 7 dicembre 2019, con grande soddisfazione per la collaborazione tra la Federazione Italiana Medici Pediatri e l’équipe del Centro di Riferimento Regionale per gli Impianti Cocleari e Diagnostica Audiologica dell’AORN Santobono-Pausilipon di Napoli (eccellenza del Mezzogiorno, nelle attività di assistenza, nello sviluppo di progetti di formazione e ricerca sia in campo nazionale che internazionale). Nato con obiettivi formativi tecnico-professionale specifici, ha permesso ai  pediatri di famiglia partecipanti, di conoscere l’epidemiologia e l’eziologia dell’ipoacusia nei diversi periodi dell’infanzia, gli screening audiologici neonatali attualmente in uso e i diversi trattamenti. Il Dr. Giovanni Lenzi, Referente Area Audiologica Fimp, e il Vicepresidente Nazionale Fimp Dr.  Antonio D’Avino, concordano nel dire che ‘..il pediatra deve essere in grado di supportare i genitori e di prendere contatto con gli idonei servizi audiologici al fine di sviluppare un piano globale per la salute e la riabilitazione dei neonati ai quali viene diagnosticata una perdita uditiva’. Questa dichiarazione, rende facile immaginare il valore del pediatra di famiglia che deve conoscere i principi del  trattamento protesico e dell’impianto cocleare, la terapia e la  riabilitazione e, come conclude  il Dr. Antonio della Volpe Referente del  Centro di Riferimento Regionale per gli Impianti Cocleari, ‘spinge alla consapevolezza del loro ruolo nella prevenzione, nella diagnosi delle ipoacusie congenite ed acquisite conoscendo linee guida di terapia otologica nelle fasi acute e  croniche..’

 Dopo il corso di audiologia della FIMP sulla sorveglianza audiologica e' stata lanciata in Campania una iniziativa della FIADDA:

Dal 20 gennaio con il patrocinio morale del Comune di Napoli e della Regione Campania, ha inizio la campagna di comunicazione e sensibilizzazione per una corretta prevenzione della sordità infantile. ‘Ascolta! Senti anche tu, previeni con noi’.
Fino a giugno, presso tutte le scuole che aderiranno alla ‘Sorveglianza audiologica scolastica-Campagna di comunicazione e prevenzione’, verranno effettuate visite audiometriche gratuite finalizzate alla diagnosi audiologica per bambini di età compresa tra i 5 e i 7 anni. I bambini con risultati ‘sospetti’, nel pieno rispetto della privacy e con il coinvolgimento diretto dei genitori, verranno ‘accompagnati’ nel percorso di approfondimento diagnostico presso il reparto di Diagnostica Audiologica del presidio Ospedaliero Santobono.
L’iniziativa è organizzata dalla Onlus Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi (Presidente della sezione di riferimento Campana Raffaele Puzio) in collaborazione con l’Associazione VERSOnonDOVE (Presidente Lucio Allegretti), con la consulenza scientifica del Dr.Antonio della Volpe, Direttore del CRR Impianti Cocleari e Diagnostica Audiologica dell’ AORN Santobono-Pausilipon di Napoli e Presidente della Società Italiana di Otologia e Scienze dell’udito (SIOSU). Gli attori coinvolti, vogliono ridurre le diagnosi tardive ed errate, purtroppo molto frequenti, per facilitare trattamenti tempestivi della sordità e dare ai bambini l’opportunità di un normale sviluppo uditivo e quindi linguistico, psicologico, scolastico e sociale.

Mercoledì, 05 Febbraio 2020 12:39

OCCHI GIALLI

di Antonino Baio, pediatra di famiglia (Dolo, Venezia)

 

Il caso clinico che mi appresto a raccontare è tutto sommato un caso facile ma che come ognuno di quelli che si presentano nei nostri ambulatori possono nascondere delle piccole insidie e portare all’errore. Ed io di errori, non gravissimi, ne ho commessi.

Sirya ha 12 anni, i genitori sono napoletani vivono in Veneto da circa 30 anni ma fanno nascere la figlia a Napoli per avere il conforto e supporto dei familiari. La ragazza non ha mai avuto problemi particolari , ha effettuato con regolarità i bilanci di salute l’ultimo dei quali proprio alcuni mesi prima con una crescita staturo-ponderale sul 25-50 percentile. Arriva in ambulatorio un pomeriggio affollatissimo, senza appuntamento. La madre ha notato da alcuni giorni un colorito giallo delle sclere.

 

Primo errore: la fretta. Il borbottio che viene dalla sala d’aspetto insolitamente affollata mi induce ad una anamnesi VELOCE e ad un esame obiettivo altrettanto VELOCE: sempre stata bene negli ultimi mesi, sta attenta alla dieta per paura di ingrassare, nessun familiare ammalato, vaccinata per epatite A e B, urine e feci riferite normali. Evidente ittero sclerale, colorito cutaneo roseo. Penso possa trattarsi di una Sindrome di Gilbert ( nella mia esperienza una decina di casi con modesto ittero sclerale) e prescrivo alcuni esami che visiono dopo alcuni giorni: gammagt, ast, alt, fosfatasi alcalina, emocromo con reticolociti risultati nella norma, aptoglobina <10 ( v.n. 50-200), bilirubina totale 2,37 ( indiretta 0,67 diretta 1,70). Quindi mi trovo di fronte ad una EMOLISI. Faccio una anamnesi accurata: negate forme ereditarie di anemia in famiglia, episodio di febbricola (37.8) della durata di 2 giorni una settimana prima. Esame obiettivo: colorito roseo, ittero sclerale, polo di milza.

Secondo errore: vagliare tutte le cause. Prescrivo altri esami pensando che possa trattarsi di una sferocitosi ( parecchi anni prima un bambino di 5 anni si slatentizzò dopo una quinta malattia). Ecco dopo alcuni giorni i risultati: assetto emoglobinico, test di Coombs diretto ed indiretto, reticolociti, resistenze osmotiche tutti nella norma, persiste la modesta iperbilirubinemia ( bilirubina totale 2,58, indiretta 0,76, diretta 1,82). Alla vista degli esami momento di sbigottimento, ma poi una sorta di illuminazione mi fa controllare la lettera di dimissione rilasciata alla nascita dall’ospedale di Napoli nel 2008 dove risulta che non era stato eseguito lo screening per …. il dosaggio del G6PD!! E così chiedo alla madre se la ragazza avesse mangiato fave: “ no dottore, ma tanti piselli”. Richiedo, finalmente, il dosaggio del G6PD che risulta essere di 8.2( v.n.>10.2; eterozigosi 3,5-10,2; omozigosi 0,1-3,5) e quindi fatta diagnosi.

Considerazioni finali: degli errori commessi ho già detto, ma ne aggiungerei un terzo che avrei potuto commettere se Sirya fosse nata in Veneto: non pensare che anche se eseguito e risultato normale qualunque test di screening può dare dei falsi negativi.

Insegnamento per il futuro: in caso di emolisi tra gli esami da eseguire mi ricorderò sempre di prescrivere il dosaggio del G6PD.

A cura della Redazione

 

 

Il linguaggio tipico dei genitori, caratterizzato da pochi vocaboli, ripetitivi, gestualità e tono di voce, può facilitare l’apprendimento dei più piccoli. Il modello di interazione genitore-figlio potrebbe essere più importante del numero totale di parole ascoltate

I discorsi per bambini noti come “parentese” – caratterizzati da discorsi acuti e lenti – potrebbero effettivamente facilitare l’apprendimento delle lingue da parte dei bambini. È quanto emerge da uno studio della University of Washington a Seattle.

Le interazioni verbali dei genitori con i bambini sono state a lungo legate allo sviluppo del linguaggio infantile. Studi precedenti hanno domostrato che i bambini parlano e comprendono più parole e frasi quando hanno interazioni verbali con genitori e caregiver. Ma ancora si sa poco su come tono e ritmo del discorso dei genitori possano influire sullo sviluppo del linguaggio precoce nei più piccoli.

Lo studio

Lo studio pubblicato da PNAS si è concentrato su ciò che i ricercatori chiamano “parentese”, un modello di linguaggio comune in molte lingue che è caratterizzato da un tono più alto, un ritmo più lento e un’intonazione esagerata, tipica di quando si parla con bambini molto piccoli.

I ricercatori hanno assegnato in modo casuale 71 famiglie con figli a ricevere coaching su come parlare con i bambini, con particolare attenzione al “parentese”, oppure al non fare coaching.

“Fornire ai genitori conoscenze e feedback sulle loro pratiche linguistiche e suggerimenti concreti su quando e come parlare con i loro bambini, ha cambiato il modo in cui questi hanno interagito con i loro figli, e questo è stato associato a impatti positivi immediati e a lungo termine sulle abilità linguistiche dei bambini”, dice Naja Ferjan Ramirez dell’Università Washington a Seattle, autrice principale del lavoro.

All’inizio dello studio, quando i bambini avevano 6 mesi, i ricercatori hanno registrato le famiglie per 12 ore al fine di valutare quante parole i genitori dicessero ai neonati e quanti scambi “botta e risposta” avvenissero tra genitori e figli.Hanno effettuato ulteriori registrazioni quando i bambini avevano 10, 14 e 18 mesi, valutando anche quali suoni borbottanti e pre-linguistici emettevano i bambini e quante parole capivano e usavano.

 

I risultati

Le famiglie assegnate al coaching hanno ricevuto sessioni quando i bambini avevano 6, 10 e 14 mesi. Queste sono stati progettate per incoraggiare l’uso del “parentese” e a scambi botta e risposta tra genitori e figli. I trainer hanno anche discusso delle tappe dello sviluppo del linguaggio e di come aiutare i bambini a raggiungere questi obiettivi.

Il coaching ha avuto l’effetto desiderato: le famiglie che l’hanno ricevuto hanno parlato più frequentemente il “parentese”, hanno avuto maggiori interazioni e registrato uno sviluppo linguistico più avanzato dei bambini nei primi 18 mesi. I bambini che hanno ricevuto il coaching hanno detto più parole e hanno avuto interazioni linguistiche più complesse.

A cura di Adima Lamborghini, coordinatore nazionale Area Alimentazione e Nutrizione FIMP

 

Lo spreco alimentare interessa tutta la filiera della produzione di alimenti, dal produttore, al distributore fino al consumatore. Una corretta alimentazione passa attraverso alcune tappe, tra cui la scelta, la preparazione e la corretta conservazione del cibo, che, oltre a produrre effetti benefici sull'organismo, rispettano l'ambiente e sono più sostenibili.

Il consumatore può affrontare questo problema attraverso una scelta consapevole degli alimenti, aumentando la varietà dei prodotti che sceglie. L'acquisto programmato settimanalmente permette ad esempio di variare le proposte dei cibi presenti sulla tavola, alternando le varie fonti di energia. La piramide alimentare suggerisce di non utilizzare come unica fonte di proteine la carne animale, che è anche quella con il maggiore impatto ambientale, ma di sostituirla con altre fonti animali (latticini, uova) e soprattutto vegetali (legumi). La programmazione dell'acquisto richiede anche di adottare alcune strategie: meglio non fare la spesa quando si ha fame, o all'ultimo momento, poiché è maggiore il rischio di acquistare quantità superiori al necessario, o di preferire cibi pronti, altamente processati, che sono anche quelli più ricchi di energia, di scarso valore nutrizionale, proveniente da zuccheri e grassi.

La quantità degli alimenti deve essere programmata in anticipo, evitando l'acquisto di prodotti già confezionati in alte quantità, per i quali è maggiore il rischio di spreco o di eccesso calorico: quando possibile meglio acquistare prodotti sfusi (risparmieremo su imballi e confezioni) ed è più facile acquistare solo la quantità necessaria.

Infine, rispettiamo la stagionalità: i prodotti non di stagione richiedono un maggiore consumo di energia per essere commercializzati, hanno minore valore biologico, spesso necessitano di trattamenti conservanti, soprattutto se provengono da lontano (le etichette ci aiutano a individuarli). In questi casi può essere preferibile utilizzare prodotti conservati (secchi, congelati o in scatola), ma raccolti o preparati al momento giusto di maturazione e la cui conservazione domestica non aumenta il rischio che si rovinino e che debbano essere gettati.

Mercoledì, 05 Febbraio 2020 11:58

SPRECO ALIMENTARE E DANNO AMBIENTALE

A cura di Marco Granchi, componente del gruppo di studio dell’Area Ambiente e Salute FIMP

 

Dall’agricoltura all’allevamento, passando per la trasformazione e la preparazione fino all’imballaggio e alla distribuzione: le attività della filiera agro-alimentare sono responsabili del 25% delle emissioni globali di gas serra.

In pratica ogni pasto comporta in media l’emissione stimata di 2.5kg di CO2, per un totale del 7-8% delle emissioni totali di CO2, dovute appunto allo spreco alimentare.

Con il cibo, quindi, vengono utilizzati (e sprecati se non consumati) terra, acqua e energia che sono stati necessari alla produzione.

Basta pensare che, se lo equipariamo ad un paese, lo spreco alimentare rappresenterebbe il terzo al mondo, dopo Cina e USA, per emissioni di CO2.

All’anno in media, vengono sprecate circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, tre volte superiori alla quantità necessaria per sfamare 1 miliardo di persone attualmente considerate denutrite nel mondo.

Secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), la principale causa di spreco alimentare è la sovraproduzione di eccedenze; ad ogni incremento di fabbisogno, corrisponde un aumento maggiore di offerte e consumi, innescando cosi la crescita dello spreco.

Evidentemente, quindi, la sfida non è produrre “extra” per far crescere la popolazione ma smettere di sprecare ciò che abbiamo!

L’ambiente sarebbe senza dubbio uno dei principali beneficiari della riduzione dello spreco alimentare: se diminuisce la quantità di rifiuti che arriva nelle discariche e negli inceneritori, diminuiscono le emissioni di metano ed è possibile ridurre la propria anidride carbonica (carbon footprint).

Non sprecare cibo ancora commestibile significa anche risparmiare le energie e le risorse normalmente impiegate nel produrlo.

Per questo, al di la di ogni altro tipo di giusta raccomandazione, per ridurre lo spreco si dovrebbe focalizzare l’attenzione su due capisaldi che sono:

      riempire il carrello con grande attenzione e andare al supermercato solo dopo aver preparato una lista dettagliata di quello che serve

       avere una dispensa ben ordinata che consenta di mantenere una giusta conservazione dei cibi per mantenerli freschi e commestibili più a lungo.

L’ISPRA conclude che per garantire la tutela ambientale è urgente puntare su un uso responsabile del consumo del suolo e sull’inversione dell’abbandono di aree rurali riconvertendo la produzione a favore dell’Agroecologia.

A cura di Stefania Russo, Area Ambiente e Salute

 

I ritardanti di fiamma bromurati, che possiamo ritrovare in diversi prodotti tessili, mobili per la casa, plastiche e dispositivi elettronici, insieme ai pesticidi, al piombo e al mercurio sono tra gli inquinanti più temibili soprattutto in età pediatrica. Uno studio recentissimo della New York University pubblicato sulla rivista Molecular and Cellular Endocrinology dimostrerebbe che le quattro sostanze chimiche note per i loro effetti nocivi sul cervello in via di sviluppo avrebbero provocato in 15 anni una perdita di oltre 180 milioni di punti di quoziente intellettivo ai bambini statunitensi che erano stati esposti in utero dal 2001 al 2016. L’autore ha definito queste sostanze chimiche sostanze mordi-e-fuggi - quando il bambino è esposto ad esse il danno al cervello risulterebbe irreversibile. Nell’ arco temporale preso in considerazione la proporzione di perdita di QI dovuto all’esposizione ai ritardanti di fiamma e ai pesticidi è risultata aumentata dal 67% all’81%. Minore l’incidenza per il piombo e il mercurio. L’impegno dell’Agenzia USA per la Protezione dell’Ambiente ha puntato principalmente sull’eliminazione progressiva del piombo dalla benzina e dalle vernici e sui livelli standard per ridurre le emissioni di mercurio da parte delle centrali elettriche a carbone. Non ci sono stati altrettanti sforzi importanti per regolare pesticidi e ritardanti di fiamma. Le norme su questi ultimi sono più permissive rispetto a quelle sui metalli pesanti. Restringerne l’impiego non rappresenterebbe la soluzione ideale. Il dosaggio non è l’unica cosa che rende una sostanza chimica un veleno, altri fattori hanno importanza come il tempo e la frequenza di esposizione.

Lo studio riporta che il danno al cervello dei bambini comporta un costo economico, ogni singolo punto di QI corrisponderebbe approssimativamente al 2% della produttività economica di un bambino per tutta la vita. L’energia del cervello di un bambino è il motore della nostra economia. Se un bambino presenta un punto di QI in meno i genitori potrebbero non farci caso, ma se 100.000 bambini hanno un punto di QI in meno, lo nota tutta l’economia. L’autore sostiene che agire sulla regolamentazione delle sostanze incriminate avrebbe un costo economico di lungo periodo molto inferiore rispetto al costo della perdita dei punti di QI dovuti all’esposizione. Qual è la situzione in Italia. L’ultimo Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque 2018 ne riporta un aumento importante. Riaccende i riflettori su erbicidi, insetticidi e fungicidi, soprattutto il temuto glifosato, oggetto di grandi polemiche. I ritardanti di fiamma bromurati (BFR) sebbene vietati o limitati nell’utilizzo dall’Unione Europea continuano a destare preoccupazione per il rischio salute ad essi collegato. I prodotti trattati con BFR, ancora in uso o sotto forma di rifiuti, lasciano “filtrare” la sostanza tossica nell’ambiente contaminando l’aria, il suolo e l’acqua.

Quali sono i consigli da dare ai genitori per ridurre il rischio di esposizione in età pediatrica. Aprire le finestre per favorire il ricambio d’aria e quindi della polvere che può contenere i ritardanti di fiamma. Aspirare frequentemente per raccogliere le sostanze chimiche dai pavimenti. Controllare la presenza delle sostanze tossiche nei mobili di arredo. Evitare materassi e giocattoli che contengono poliureterano espanso, spesso mescolato ai ritardanti di fiamma. Evitare di spruzzare pesticidi sui propri prati e nei giardini. Preferire gli alimenti biologici, lavare attentamente frutta e verdura.

 

Molto utile in tal senso può risultare il Poster sull’Inquinamento Indoor elaborato dal Gruppo Ambiente e Salute di FIMP.

Bibliografia

  1. Trends in neurodevelopmental disability burden due to early life chemical exposure in the USA from 2001 to 2016: A population-based disease burden and cost analysis Leonardo Trasande et al. Molecular and Cellular EndocrinologyVolume 502, 15 February 2020, 110666
  2. Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque ISPRA 2018
  3. L’inquinamento indoor, approfondimento tematico a cura dell’Area Ambiente e Salute FIMP: https://www.fimp.pro/images/areetematiche/ambientesalute/INQUINAMENTOINDOOR.pdf