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Ecco il ruolo del pediatra di famiglia per il loro riconoscimento precoce

Roma, 4 marzo 2019 – Favorire il più possibile il riconoscimento precoce delle gravi malattie neuromuscolari attraverso un sempre maggiore coinvolgimento e attenzione del pediatra di famiglia. È questo l’obiettivo dell’ultimo Position Paper redatto dalla Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), in collaborazione con l’Associazione Italiana Miologia (AIM) e la condivisione di Parent Project e UILDM, sulle Malattie Neuromuscolari e sulla Distrofia Muscolare di Duchenne in particolare. Il documento fa parte del progetto PETER PaN(PEdiatria TErritoriale eRiconoscimento Precoce MalattieNeuromuscolari), il primo realizzato in Italia su una patologia rara e dedicato alla medicina del territorio. “Può diventare un prezioso strumento di lavoro per tutti i pediatri di libera scelta italiani - afferma il dott. Paolo Biasci, Presidente Nazionale FIMP -. Questa nostra presenza capillare sul territorio e il rapporto di fiducia che abbiamo con le famiglie possono essere utili anche per la presa in carico di una particolare categoria di pazienti. Si calcola che siano oltre 20mila i bambini residenti nel nostro Paese colpiti da problemi neuro muscolari. Possiamo svolgere un ruolo importante sia nel riconoscimento precoce che nel monitoraggio nel tempo della patologia”. La Distrofia di Duchenne provoca una perdita delle capacità di movimento del giovanissimo. E l’aspettativa di vita risulta ancora molto bassa, intorno ai 30 anni. “Un ritardo nel suo riconoscimento determina un ritardo nell’avvio delle strategie terapeutiche e un conseguente anticipo del danno irreversibile ai muscoli scheletrici e cardiaci - aggiunge il dott. Mattia Doria, Segretario Nazionale FIMP alle Attività Scientifiche ed Etiche -. Inoltre riduce l’efficacia delle terapie standard, in primis fisioterapia e corticosteroidi, e l’accesso a quelle molecolari di nuova generazione. La diagnosi precoce passa dall’osservazione longitudinale dello sviluppo delle abilità neuro-psico-motorie. La condivisione di un percorso diagnostico tra pediatra, specialisti di malattie neuromuscolari e genitori è cruciale per sostenere in modo significativo la gestione clinico terapeutica del bimbo”.

Il progetto PETER PaN, oltre al Position Paper, prevede diverse attività formative su tutto il territorio nazionale e la distribuzione di materiale informativo per pazienti e caregiver. “Siamo orgogliosi di promuovere queste iniziative che vogliono aumentare il livello di conoscenza e riconoscimento di questi e altri importanti problemi di salute - conclude Biasci -. Come Società Scientifica siamo convinti che per salvaguardare la salute di bambini e adolescenti alla prese con malattie molto gravi e complesse sia necessario un lavoro di squadra e questo primo documento ne è un esempio”.

Venerdì, 01 Marzo 2019 11:14

Influenza: oltre 6,5 milioni gli italiani colpiti

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Roma, 01 marzo 2019 - L'epidemia influenzale continua. Dopo avere raggiunto il picco stagionale nella quinta settimana del 2019 "con un livello paragonabile a quello dell'anno scorso" gli italiani colpiti risultano in diminuzione. Ma l'incidenza si mantiene a un "livello di media intensità pari a 8,67 casi per mille assistiti". Lo rilevano i medici sentinella della rete Influnet dell'Istituto superiore di sanità nell'ultimo bollettino, relativo al periodo 18-24 febbraio. Nella settimana in esame, l'ottava dell'anno, "il numero di casi stimati in Italia è pari a circa 525 mila, per un totale di circa 6 milioni e 502 mila dall'inizio della sorveglianza". Il calo dell'incidenza dei virus è "generalizzato in tutte le età", anche se appare maggiore nei giovani e negli adulti. Tra i bimbi da 0 a 4 anni l'incidenza è di 25,36 casi per mille assistiti, nella fascia 5-14 anni di 13,97 casi per mille, fra i 15-64enni di 7,75 casi/mille e tra i 65enni e gli over 65 di 3,50/mille. Le regioni più colpite sono Umbria, Marche e Basilicata, dove l'incidenza si mantiene ancora al di sopra degli 11 casi per mille assistiti.

Roma, 28 febbraio 2019 – Per gli uomini meno istruiti la speranza di lunga vita diminuisce. È di tre anni in divario che li separa da quelli che hanno studiato e si sono informati di più. È questo il dato che emerge dall’Atlante italiano delle diseguaglianze di mortalità per livello di istruzione, presentato oggi su dati 2012-2014. Questo gap si somma allo svantaggio delle regioni del Mezzogiorno dove i residenti perdono un ulteriore anno di speranza di vita, indipendentemente dal livello di istruzione. Mentre, per alcune cause di morte, come i tumori, il rischio è più elevato nelle regioni settentrionali. "C'è un gradiente da Sud verso il Nord per quanto riguarda le patologie tumorali - spiega la direttrice dell'Inmp, Istituto nazionale per le migrazioni e le povertà - Al Nord ci si ammala di più rispetto al Sud. È un dato su cui si può studiare perché sono molte le questioni da analizzare come l'ambiente, il lavoro. I determinanti della salute sono tanti e incidono in maniera intersettoriale". In Campania si è osservata una speranza di vita alla nascita inferiore di due anni rispetto ai residenti nella maggior parte delle Regioni del centro-nord, sia tra gli uomini che tra le donne. Le persone con basso titolo di studio hanno una probabilità di mortalità per tutte le cause del 35% tra gli uomini e del 24% tra le donne. La quota di mortalità attribuibile alle condizioni socio-economiche e di vita associate al basso titolo di studio è pari al 18% tra gli uomini e al 13% tra le donne. Nel Paese ci sono aree in cui la mortalità è più elevata rispetto alla media nazionale fino al 26% tra gli uomini e al 30% tra le donne, a parità di distribuzione per età e per titolo di studio. La mortalità cardiovascolare è più elevata nel Mezzogiorno, indipendentemente dal livello di istruzione. Vi è poi un gradiente Est-Ovest con maggiore mortalità nel Nord-Ovest e sulla costa tirrenica per molte cause, soprattutto malattie cerebrovascolari e tumori nel loro insieme.

Roma, 27 febbraio 2019 – Nuovo incontro oggi tra la Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati (SISAC) e le organizzazioni sindacali della pediatria di famiglia. L’obiettivo finale è la ripresa delle trattative con un mandato pieno per tre mesi o, comunque, fino alla definitiva sottoscrizione dell’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) 2016-2018. “Siamo soddisfatti per la condivisione degli obiettivi ed il clima collaborativo emerso durante l’incontro” sono state le prime parole del dott. Paolo Biasci, Presidente Nazionale della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP). “Nello specifico dopo aver affrontato il tema della rimodulazione del numero dei componenti delle delegazioni sindacali, si è concordato, in deroga all’attuale regolamento, di aumentare di un’unità la composizione di tutte le delegazioni” ha aggiunto il presidente FIMP. Il nuovo Coordinatore della SISAC, Dott. Antonio Maritati, ha illustrato il mandato ricevuto dal Comitato di Settore e delineato i punti essenziali che saranno oggetto della trattativa per il rinnovo contrattuale, partendo da alcuni aspetti non conclusi nell’Accordo sottoscritto nel 2018. “In particolare - ha sottolineato Biasci -, dovranno essere definiti, nell’ambito della programmazione regionale, i principi generali delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), valorizzandone il carattere funzionale e la caratteristica di promozione del lavoro di squadra su obiettivi condivisi, sviluppando gli obbiettivi previsti nell’Art 1 dell’ACN 2018. Su questo aspetto il Ministero della Salute ha inviato una nota nella quale raccomanda di tener conto in particolare delle attività di sostegno alla genitorialità, di prevenzione e di diagnosi precoce”. Altri temi da affrontare sono, secondo la FIMP, la questione dei diritti sindacali, la disciplina dei procedimenti, la costituzione di un Osservatorio per il monitoraggio degli Accordi Integrativi regionali, nonché l’introduzione dell’anticipo della prestazione previdenziale (APP). Quest’ultimo provvedimento permetterà l’accesso alla professione di pediatra di famiglia a molti giovani colleghi. “Al fine di una rapida conclusione della trattativa sono già stati calendarizzati i prossimi incontri – conclude il presidente FIMP -. Auspichiamo che lo spirito di collaborazione di oggi prosegua anche nelle successive riunioni”.

Roma, 27 febbraio 2019 – Le donne sono più propense ad andare dal medico rispetto agli uomini. Sono proprio loro, infatti, a non rinunciare alla consueta visita di controllo. Ma, a quanto pare, non tutti la pensano così. Secondo gli ultimi dati EUROSTAT nel 2017 quasi quattro persone su dieci (38%) nell'Unione Europea (UE) sono andate dal medico di medicina generale una o due volte nei 12 mesi esaminati. Un quarto (25%) ha consultato il proprio 'dottore di famiglia' da 3 a 5 volte, mentre quasi un quarto (il 24%) non ci è andato mai, mentre il 14% di 'affezionati' ha riferito almeno sei visite. E l'Italia? Circa il 47% degli italiani va dal medico di famiglia una o due volte l'anno e il 29% non ci è andato mai. Guardando al resto d'Europa, la Danimarca ha avuto la più grande percentuale di persone che hanno visto il proprio medico generico 6 volte o più (49%) nei precedenti 12 mesi, mentre la Francia ha avuto la percentuale più alta di persone (34%) andate dal medico 3 o 5 volte. La percentuale di quanti consultano il medico una o due volte è maggiore in Slovacchia (47%), seguita dall'Italia, mentre alla Grecia spetta il primo posto per quanti non sono mai andati dal medico (61%). Quanto al dentista, il 45% in Ue non aveva fatto una visita nei 12 mesi precedenti, mentre il 42% ci era andato una o due volte. E gli italiani? Il 58,4% non è stato mai dal dentista in 12 mesi, anche se il record spetta alla Romania (82%). Se infine il 45% degli europei non ha mai consultato un chirurgo generale in 12 mesi, il 34% lo ha fatto una o due volte, il 14% da 3 a 5 volte e il 7% 6 volte o più. Alla Germania spetta il record di persone che hanno consultato un chirurgo generale da 3 a 5 volte (23%), mentre all'Italia quello di quanti si sono recati da un chirurgo generale una o due volte (48%).

Milano, 26 febbraio 2019 – I fiumi non sembrano trovare cura nella concentrazione dei residui di medicinali che ne inquinano le acque. Anzi, a risentirne è l’intero ecosistema, con un rischio da dieci a venti volte più alto rispetto al 1995. È quanto emerge da uno studio della Radboud university di Nijmegen, in Olanda, pubblicato da Environmental Research Letters. I ricercatori hanno elaborato un modello sulla base di ricerche precedenti sul tema e sui dati di consumi farmaceutici, risorse idriche e accesso a impianti di trattamento delle acque, riferito a due farmaci, l'antibiotico ciprofloxacina e l'anticonvulsivante carbamazepina. La mappa del rischio risultante, confrontata con quella del 1995, rivela molte più zone 'rosse', dove è alta la probabilità che le concentrazioni mettano a rischio l'ecosistema. All'Europa e agli Usa, già in pericolo vent'anni fa, si sono aggiunte diverse nazioni in Africa, Asia e Sudamerica. A preoccupare sono soprattutto i residui dell'antibiotico, che oltre ad essere pericolosi per gli animali potrebbero essere un fattore nello sviluppo dei batteri resistenti. "La concentrazione di questi antibiotici può essere pericolosa per i batteri nell'acqua che a loro volta hanno un ruolo importante in vari cicli naturali. Gli antibiotici possono anche avere un impatto negativo sull'efficacia delle colonie di batteri usate nel trattamento delle acque di scarico".
 

Milano, 25 febbraio 2019 – Un ricambio generazionale per i camici bianchi sembra difficile da sostenere, quando a indossarli sono i medici di famiglia. Oggi se ne registra, infatti, un' importante carenza, non libera da effetti negativi.  Un nuovo studio scientifico dimostra che il calo del numero di medici di famiglia pro capite è legato a una minore aspettativa di vita. La ricerca, condotta negli Usa dalla Stanford University, è pubblicata su 'Jama Internal Medicine' ed è rimbalzata Oltreoceano, citata fra gli altri dalla testata britannica 'Independent', a riprova di quanto il problema della carenza di medici di famiglia sia senza confini. Gli autori hanno analizzato i cambiamenti di popolazione tra il 2005 e il 2015 e mostrano inoltre come in un'area la presenza del medico generico abbia un impatto maggiore sull'aspettativa di vita rispetto a quello esercitato da altri medici specialisti. Lo studio statunitense, dunque, lancia un allarme sul 'restringimento' della compagine di questi camici bianchi. I ricercatori hanno osservato che le aree con più medici di medicina generale guadagnano più di un mese di aspettativa di vita, dato superiore a quello registrato con un'equivalente espansione numerica di cardiologi o altri specialisti. Il risultato dello studio viene considerato dagli esperti significativo perché il numero di camici dediti alle cure primarie è rimasto indietro rispetto ai livelli di popolazione e ai bisogni di pazienti, in particolare nelle aree rurali e in quelle più povere. Nel dettaglio gli autori della ricerca rilevano che, per ogni 'pacchetto' di 10 medici di famiglia in più per 100 mila abitanti, l'aspettativa media di vita aumenta di 51,5 giorni nelle aree più coperte. Gli Stati con più specialisti ospedalieri, invece, mostrano un aumento medio di soli 19,2 giorni per ogni 10 camici aggiuntivi su 100 mila abitanti. "Una maggiore offerta di cure primarie è stata associata a una minore mortalità, il che suggerisce - concludono gli autori - che le diminuzioni osservate sui 'family doctors' potrebbero avere conseguenze importanti per la salute della popolazione".

Venerdì, 22 Febbraio 2019 13:39

Influenza: da ottobre ad oggi registrati 516 casi gravi

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Roma, 22 febbraio 2019 - Salgono a 516, da ottobre 2018, i casi gravi di influenza, e esserne state colpite sono anche 7 in donne in gravidanza, mentre sono 95 le persone decedute. E' quanto rivela il bollettino FluNews-Italia, a cura dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS), che aggiorna il report stagionale con i dati relativi alla settima settimana del 2019. Tutti i casi di influenza confermata in persone con infezioni respiratorie acute e insufficienza respiratoria acuta sono stati ricoverati in una Unità di Terapia Intensiva e 376 sono stati intubati. Il 62% dei casi gravi è di sesso maschile e il 91% si è verificato in soggetti over 50 anni. Nell'82% era presente almeno una condizione di rischio preesistente, come diabete, tumori, malattie cardiovascolari o respiratorie croniche. In otto casi su dieci, non erano vaccinati. Il numero complessivo di casi di influenza da ottobre 2018 è arrivato intanto 5.968.000, i contagi settimanali continuano a diminuire ma si mantengono ad un livello di incidenza di media intensità: durante la scorsa settimana sono stati 663.000.

Firenze, 21 febbraio 2019 - Buone notizie in arrivo dalla Toscana per quanto riguarda le vaccinazioni in età pediatrica nel 2018. In Regione, secondo gli ultimi dati presentati oggi, è stata superata la copertura del 95% che consente l’immunità di gregge. “E’ un ottimo risultato che è stato ottenuto anche grazie all’impegno della pediatria di famiglia - afferma il dott. Paolo Biasci, Presidente nazionale Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) -. La Toscana è l’unica regione italiana nella quale le vaccinazioni vengono svolte direttamente nell’ambulatorio del pediatra di libera scelta, senza liste di attesa e con l’assoluto gradimento delle famiglie che si giovano del rapporto fiduciario con il Pediatra scelto per la salute dei propri bambini”. “È il risultato di un accordo regionale che si è reso possibile grazie all’impegno delle Istituzioni locali - dichiara Valdo Flori, segretario FIMP Toscana - e gli ultimi dati dimostrano chiaramente che il nostro ruolo attivo è ormai imprescindibile per garantire un’adeguata copertura vaccinale. Nella nostra regione e con il coinvolgimento dei pediatri di famiglia nell’esecuzione delle vaccinazioni nei propri studi le coperture sono andate aumentando negli ultimi due anni in modo sensibile e si è raggiunta è superata la soglia del 95% per il vaccino MPR”. “Speriamo che il modello vincente della Regione Toscana sia presto esteso anche nel resto d’Italia - conclude il dott. Biasci -. In questo preciso momento storico in cui la diffidenza, se non addirittura l’ostilità in certi casi, verso i vaccini cresce in tutta la Penisola, la pediatria di famiglia è in prima linea per dare le giuste informazioni alle famiglie e favorire adesione alle vaccinazioni e recupero degli inadempienti. Questi obiettivi saranno più facilmente raggiungibili se ci sarà data la possibilità di eseguire noi stessi le vaccinazioni nei nostri studi, capillarmente diffusi in tutto il territorio nazionale, nell’ambito del rapporto fiduciario che ci lega alle famiglie dei nostri assistiti. Su questi temi da tempo ormai ci battiamo e ci auguriamo di poter presto incontrare il Ministro Giulia Grillo per un costruttivo confronto che possa permettere lo sviluppo del pieno coinvolgimento della Medicina del territorio nel sistema vaccinale del SSN.”